Le Metamorfosi
Libro V

 

Tifeo

 

 

Diceva che Tifeo, emerso dalle profondità della terra,
aveva terrorizzato i celesti al punto da volgerli in fuga,
finché, sfiniti, non li accolse la terra d'Egitto,
dove il Nilo si ramifica in sette foci.
E che Tifeo, figlio della Terra, giunse fin là,
costringendo gli dei a celarsi sotto mentite spoglie:
"Guida del branco", disse, "divenne Giove, per cui in Libia
ancor oggi Ammone è raffigurato con corna ricurve;
il dio di Delo si mutò in corvo, il figlio di Sèmele in capro,
la sorella di Febo in gatta; in nivea vacca si celò la figlia
di Saturno, Venere in pesce e nelle piume di un ibis Mercurio".
Qui, accompagnandosi con la cetra, terminò il suo canto;
toccava a noi dell'Aonia. Ma tu forse hai da fare
e non hai tempo di ascoltare quello che cantammo".
"Non preoccuparti e riferiscimi per intero il vostro canto",
le rispose Pallade, sedendosi nella penombra del bosco.
Riprese la Musa: "Affidammo a una sola il compito della gara:
si alza Calliope e, raccolti con un tralcio d'edera i capelli,
dopo aver saggiato col pollice la sonorità delle corde,
con i loro accordi accompagna questo canto:
Per prima Cerere smosse col vomere dell'aratro le zolle,
per prima diede in coltura alla terra messi e frutti,
per prima diede leggi: a Cerere dobbiamo tutto.
Lei devo cantare; volesse almeno il cielo che potessi
dedicare versi degni a una dea così degna di un carme.

Immensa sulle membra di un gigante si distende l'isola
di Trinacria: sotto il suo enorme peso tiene schiacciato
Tifeo, che aveva osato aspirare alle sedi dei celesti.
Lui, è vero, si agita dibattendosi per rialzarsi,
ma sopra la sua mano destra sta Peloro, vicino all'Ausonia,
sopra la sinistra tu, Pachino; Lilibeo gli preme le gambe,
sopra il capo gli grava l'Etna; Tifeo riverso sul fondo
dalla bocca inferocito erutta lava e vomita fiamme.
Spesso si sforza di rimuovere la crosta che l'opprime
e di scrollarsi di dosso città e montagne:
allora trema la terra e persino il re dei morti teme
che il suolo si squarci, che una voragine ne riveli i segreti
e che la luce irrompendo semini tra le ombre terrore e caos.
Proprio temendo queste calamità il sovrano era uscito
dal regno delle tenebre e su un cocchio aggiogato a neri cavalli
percorreva la Sicilia per saggiarne le fondamenta.
Convinto ormai che nessun luogo vacillava, si tranquillizzò,
quando in questo suo vagare dal monte Èrice, dove viveva,
lo vide Venere che, stretto a sé il suo figliolo alato, disse:
"Armi e braccio mio, tu, figliolo, tu che incarni il mio potere,
prendi quell'arco con cui vinci tutti, mio Cupido,
e scaglia le tue frecce folgoranti in petto al dio,
che l'ultimo dei tre regni ha avuto in sorte.
Alla tua mercé tu sai ridurre i celesti, Giove stesso,
le divinità del mare e persino chi su loro regna:
perché l'Averno fa eccezione? Perché non estendi il tuo dominio
e quello di tua madre? In gioco è la terza parte del mondo.

 

 

 

 

Ovidio
478 ac ~

 

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