Eccomi a correre, nuovamente, dietro ad un pallone apparso per
magia.
Inseguire questa sfera, che racchiude un mondo di speranze, mi dà un
vago odore di libertà. Le mie gambe sono tornate a funzionare e
corrono. Corrono senza sosta, come se dovessero recuperare un anno
di forzata immobilità.
Una palla e amici con cui giocare mi fanno gustare questo dolce
clima di tarda primavera. Che volere di più?...
La nuova strada, che sostituirà la SS 114, è appena tracciata e i
primi sbancamenti hanno appianato un lungo tratto... Per noi
ragazzini, è il campo di calcio preferito...
Giocare al "Celeste", con o contro il Messina, è il mio
sogno. Questa strada piena di sassi è, invece, la felicità...
Che desiderare di più?
A tredici anni, è anche troppo.
Ci sono tre ragazzine ai bordi del campo...
Guardano incuriosite, parlottano tra di loro e, ogni tanto, ridono
garbatamente. "Passa, passa la palla!", urlo a
un compagno...
Ma, il lancio è lungo e finisce fuori campo. Proprio vicino alle
ragazze.
Di corsa, vado a prendere il pallone che è fermo ai piedi di una
loro, lo raccolgo e, mentre alzo la testa, i miei occhi incrociano
il suo sguardo...
E' uno sguardo lungo, scandito da un tempo che sembra si stia
dilatando.
Le incitazioni dei compagni a riprendere il gioco non le sento più,
come se d'improvviso fossero di un altro mondo.
Che strano questo silenzio...
Il cuore si sta mettendo a battere a non più non posso.
Viaggia già in galassie, di sospiri e d'azzurro, perdute nel mio
universo per approdare in volo in due occhi sorridenti. Con
dolce turbamento, assaporo quest'attimo sfavillante d' incanto.
E' come se, nel piccolo infinito di dolore che mi assale,
cominciassero a scatenarsi, annunciati dalla fuga dei gabbiani verso
il porto, i tormenti dell'esistenza tutta vestiti del vento
caldo-umido del deserto, che giunge a novembre con folate e
scuotendo le tegole dei tetti e gli alberi affannati.
Non ho dubbi, dentro di me comincia a scorrere
il respiro lungo e profondo del mare, che si infrange sul litorale
con grandi onde, mentre l'acqua, rotta dai ciottoli e dispersa in
miliardi di minuscole gocce di sale, si diffonde nell'aria,
s'inerpica per le strade e avvolge le colline, fino a depositarsi
sulle vigne basse e sugli aranci generosi.
Vedo le rare laminarie fluttuare rapite dal flusso
delle correnti e le finestre del cuore gonfiarsi, aprirsi e
chiudersi in nervosi spasmi.
Sento i muri delle case che si lamentano e l'aria che sibila,
incupita dai veloci nembi neri carichi d'acqua africana, e che
scuote le chiome delle palme e gli intensi cipressi lungo i
cimiteri.
E lo Stretto, che mi riempie, si tinge di verde
malachite, mentre le prime violente scariche elettriche sbiancano i
timori. Roboanti, i tuoni spezzano il cielo che mi attraversa e, in
un diluvio, si perdono rotolando nelle valli, sù fino a Monte
Scuderi e Dinnamare, per poi tornare rimbalzati, sordi e perduti nel
grido delle nuvole, verso Reggio e l'Aspromonte.
Nei miei occhi riflessi nei suoi, lo scirocco a
levante incalza.
Con violenza, ribalta le barche che i pescatori non hanno fatto in
tempo a portare sulle strade, vicino casa, come se fossero figli da
salvare, e strappa con forza le ultime foglie ai gelsi rossi e ai
tigli lungo i viali.
E il mio mare diventa furore e litania.
In un'opera purificatrice, spazza la spiaggia, fino a lambire
l'uscio delle case, e restituisce all'uomo, lungo la battigia,
gli attrezzi della pesca smarriti, i mille piccoli segnali materiali
della sua esistenza banale e, soprattutto, i sogni persi, quelli
caduti dalla luna e quelli naufragati.
La salsedine liberata nell'aria si addensa dolcemente in una sottile
nebbiolina che riempie, con l'odore degli anfiossi, i vicoli, le
piazze e gli angoli nascosti dei paesi dei pescatori. Entra nelle
case e nelle chiese aperte, dove vecchie madri restano a pregare.
Sono pervaso da un liquido respiro arrotato in
grandi cavalloni, che con fragore si rompono sulla battigia,
distendendosi in una lunghissima spuma bianca sulla spiaggia
nera...
Vedo la gente uscire di casa, scendere in preda ad un ancestrale
richiamo verso il mare e restare ferma, lì sul limite dell'onda, a
guardare questo gigante offeso che lento..., lento e lungo, giunge a
riva ed esplode. Stanno tutti zitti.
Regna il rumore dell'acqua che s'alza e cade. E' un
lungo effluvio che attanaglia i sensi. E' un anelito morente che
entra nelle ossa e che calma le passioni.
E tutti lì.
Bambini infreddoliti, donne mature in scialli neri, pescatori
con le mani in tasca che scrutano, in un afflato comune, i segni di
speranza per l'indomani.
Pian piano, rivivo un canto velato, fascinoso e figlio di sirene,
che si strugge nell'anima e che travolge in abissi esistenziali, che
strazia lo sguardo e ammalia il cuore.
Anch'io sono fermo e muto, con le vele latine dei pensieri al
vento, con i sogni nel fondo dell'anima, con i sorrisi nascosti e la
sofferenza eterna...
Un urlo, più forte degli altri, mi scuote:
"Dai! Rimetti in gioco quella palla!..."
Sto correndo insieme agli altri, ma non ho più voglia di giocare.
Il cuore continua a battere impazzito, lo sguardo non lo rivolgo più
ai compagni..
Non seguo più le azioni di gioco.
Un solo pensiero si è impossessato di me e non faccio altro che
cercare quegli occhi sorridenti..
Un compagno mi dà uno spintone urlando
"Ma che hai?"
"Niente, niente, sono stanco..."
...
Giocate, giocate pure alla ricerca della felicità...
Non corro più.
Mi fermo a guardare quella ragazzina dagli occhi sorridenti...
Sono qua, di fronte a lei, imbambolato e afono ad immaginarmi il
futuro: la prima carezza, il primo abbraccio, il primo sorriso per
me in riva al mare. Come sarà il tepore delle sue mani e che gusto proibito avranno i baci suoi? "La voglio amare! Si! La voglio amare!"
mi dico dentro "La terrò
stretta e le ruberò il respiro per farlo diventare mio.. Avrò cura
di lei, la cullerò con la brezza di ponente e la porterò in terre assolate e solitarie ad
aspettare tramonti rossi e nuove albe rosate. Una vela ci guiderà e solo per noi saranno la luna e le stelle".
Nell'aria c'è un senso d'immobilità, come d'attesa.
I miei compagni hanno smesso di giocare e stanno raccogliendo le poche cose lasciate prima sulle siepi.
Cominciano ad andare via con fluida lentezza, stranamente silenti.
Anche le ragazze vanno via, continuano a parlare in allegria. Le loro voci svaniscono, come echi lontani, col sole. Provo un senso di smarrimento e mi sta prendendo un'ansia sottile.
"Ma no! Domani e ancora dopo e ancora per ogni giorno la vedrò..
L'amerò per tutta la vita, per sempre sarà nei miei pensieri.
Il cuore la trasformerà in mare...
Un mare profondo come il blu di un dolore muto e l'amore che
non sa lasciare" ... Se ne sono andati tutti via...
C'è un'allodola che saltella su una siepe, ma non ho voglia di rincorrerla.
E' quasi sera e non mi resta che tornare a casa... Come faceva quella canzoncina che canticchia ogni tanto papà?
Ah! Si!....
"L'amore è un pizzicor che pizzica il tuo cuor, ti fa soffrir, se
vuoi guarir non c'è nessun dottor...."
Continuo a canticchiare, portando via con me lo sguardo di due occhi sorridenti
e un tempo che non mi appartiene.
Sul margine della strada, una timida e solitaria rosa si mostra inspiegabilmente da un cespuglio di rovi. Sono tentato di reciderla
e portarla a mia madre...
Ne aspiro per un attimo la sinuosa fragranza...
Inebriato, decido di lasciarla là, a vivere la sua breve vita, e riprendo il cammino.
"Il Messina calcio può aspettare...
Ho un sogno d'amore, immerso nel vento e nel mare..."