Sull’anima del vate scende oscura,
notte di pianto, notte di dolore,
l’eccelsa meta par chimera pura,
vaneggia forse il suo pensier d’amore?
Perché l’animo, stretto da paura,
brama la fiamma d’un sincero ardore?
Così nel buio il cuore si consuma,
tra sogni infranti e disperata bruma.
II
«Per te l’amor è fiore già
appassito,
sogno lontano, vano desiderio;
invano cercherai tocco infinito,
dolce carezza, limpido mistero.
Vuoi tu la speme e non il vero scritto,
la vita è canto d’angoscioso impero,
di pene e tristezza, di rimpianto,
eco che muore in un eterno pianto.»
III
Così cantava il misero poeta,
col cuore infranto e voce di mestizia,
toccava il ritmo, l’anima segreta,
del battito che arde in sua delizia.
Un grido s’alza, un singhiozzo che vieta
la pace, intriso d’amor e mestizia;
ma forte esclama: «No! Non è illusione,
l’amor è incanto, è sacra maledizione!»
IV
O bella fanciulla dagli occhi di fata,
fino alla morte, mia suprema meta,
deh! riconduci il tuo vate che brama
nel sogno lieve d’una notte quieta.
Sia la tua luce stella incantata,
che al cor ferito dolce pace acquieta;
e in quell’abbraccio, eterno e sovrumano,
si plachi il pianto nel tuo gesto arcano.