www.colapisci.itL'uomo che diventa pesce per necessità o per scelta


In una lingua che non so più dire

 

Nessuno più mi chiama in una lingua
che mia madre fa bionda, azzurra e sveva,
dal Nord al seguito di Federico,
o ai miei occhi nera e appassita in pugno
come oliva che è reliquia e ruga.
 
O in una lingua dove avanza, oscilla
col suo passo di danza che si cuoce
al fuoco della gioventù per sfida,
sposata a forma d’anfora, a quartara.
 
O in una lingua che alla pece affida
l’orma sua, l’inoltra a sera nell’estate,
in un basso alitare la decanta:
è movenza d’Aragona e Castiglia,
 sillaba è cannadindia, stormire.
 
O in una lingua che le pone in capo
una corona, un cercine di piume,
un nido di pensieri in cima in cima.
 
O in quella lingua che la mormora
sul fiume ventilato di papiri,
su una foglia o sul palmo della mano.
 
O in una lingua che risale in sonno
coi primi venti precoci d’Africa,
che nel suo cuore albeggia, in sabbia e sale,
nel verso tenebroso della quaglia.
 
O in una lingua che non so più dire.

 

 

 

Stefano D'Arrigo

 

   

 

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