Sirenetta continua a vivere…
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Se transiterai dalla Città dei Due Mari, costeggiando la vecchia marina, davanti al Castello Aragonese, troverai un’altra stupenda creatura.
E’ Lisea La Vestale. Consacrata al culto di Minerva Poliade scelse di morire insieme alle sue compagne quando fu portata schiava a Roma. Insieme a trentamila persone, tra Tarantini e Cartaginesi, aveva seguito il destino crudele dei vinti, imprigionati dai Romani dopo la conquista di Taranto da parte di Quinto Fabio Massimo, nel 209 a.C.
Per sottrarsi al disonore, il pegno da pagare al vincitore, Lisea e le altre Vestali scelsero la morte precipitandosi tutte dall'alto del tempio.

Non puoi restare indifferente davanti a tanta storia e davanti a tanta bellezza.
Se puoi, passa a trovare le sorelle sirene. Le prime due le troverai nei pressi della “Capitaneria di porto”.
La prima, che fu amata silenziosamente dal vecchio paguro e che ascoltava i silenziosi aneliti degli esseri umani, è quella con le braccia alzate, quella che dialogò con Jonathan, che disdegnò la corte del fenicottero rosa, quella che custodiva il segreto sogno di incontrare l’uomo-pesce, la metà a lungo agognata, cercata, sognata e finalmente trovata.
Colapesce, l'uomo che per necessità o scelta diventa pesce, dal corpo squamoso e le dita palmate, ovvero, il mitico eroe di innumerevoli leggende, che sostiene con le sue spalle l’amata Sicilia. L’eroe che un giorno, giunto nel fondo del mare, vide la colonna Peloro, sulla quale poggia la cuspide settentrionale della Sicilia, quasi in punto d'infrangersi e preso a compassione per la sorte della sua isola scelse di restare sul fondo del mare, di amare in modo oblativo, chi non lo amava, chi lo disprezzava, chi lo anteponeva a ridicole scelte, vacue scelte. Scelte senza storia. Senza Eternità.
Colapesce, da Messina, immortalato da Guttuso nella Pittura, da Calvino e da Benedetto Croce nella Letteratura, da Otello Profazio nelle sue ballate da cantastorie.
Colapesce storicamente collocato al tempo del Grande Federico II, lo “stupor mundi”.
Colapesce, che ebbe il privilegio di guardare negli occhi il Capidoglio, Colapesce, che scese negli abissi per ritrovare l’anello della superba Principessa.
Colapesce, che sentiva imperioso il richiamo del mare, seducente e schiavizzante, come quello delle Sirene che sedussero l’omerico Odisseo.
Colapesce, che continua a vivere degli occhi dei sognatori, dei naviganti, e dei poeti.

Se passerai da Taranto cerca anche la sirena con la coda attorcigliata. Potrai ammirarla nei pressi della Rotonda, la troverai seduta in una posa da matrona romana, dalle forme robuste ma ugualmente singolare e sorniona, come una luna piena, lampara accesa per coloro che si amano. Di notte. Perduti nella melodia delle onde che s’infrangono lievissime, discrete, per non disturbare i bisbigli degli innamorati.
Molti gabbiani le volato attorno, cercando di strapparle qualche confidenza, qualche racconto, qualche emozione provata nei giorni in cui il Creatore la consegnò alle pagine del Tempo e alla curiosità dei turisti e allo stupore di quanti si sforzano di restare fanciulli dentro. Lo scultore delle Sirenette, accarezza un sogno ambizioso, quello di permettere alla sua città di insidiare la fama della nordica Copenaghen che di Sirenette ne possiede solo una. Se passerai da Taranto, non proseguire il tuo viaggio senza aver visto le sue 7 sirene.

Ricordati di portare un fiore alla sirena morente, quella che rappresenta il distacco più doloroso da tutto ciò che si è amato nella vita. Anche quando la vita ci ha privato dei sogni più belli, anche quando non resta nessuna lampada accesa che ci faccia scorgere una speranza di riuscita. Un’ ultima, risolutiva, occasione di riscatto, di rivincita, di rivivere, magari in un altro corpo, in un’altra storia, in un’altra leggenda.
La sirenetta morente è il simbolo della speranza sconfitta, del sogno cercato e anelato con tutte le energie vitali dell’essere, anche quando le energie sono ingabbiate in un corpo pietrificato dal vissuto quotidiano opprimente e coercitivo.

Se passerai da Taranto, su un lembo di mare azzurrissimo, troverai i pescatori amici di Jonathan, il gabbiano, che aveva a cuore la salute psicofisica del giovani gabbiani. Quello che fu sorpreso e sconfitto, dalla pandemia interplanetaria. Quel morbo si può chiamare anche "solitudine". Quel morbo imbattibile e temuto che fa strage di Spiriti liberi, che anelano l’ebbrezza del volo, che ricercano celesti traiettorie per voli che li conducano ai confini del cielo. Quel morbo che fa scendere le quotazioni della vita fin sotto le fondamenta della gioia.

Se passerai da Taranto, non spingere il piede sull’ acceleratore , specie se passi sul ponte girevole, fermati a guardare il torrione merlato del Castello Aragonese, risuonante di legioni antiche, di vita di corte, di voci concitate che parlano un idioma sconosciuto, musicale e avito.
Se ti fermerai sull’isola di San Pietro, troverai la tomba del fenicottero rosa, che si lasciò morire d’amore, per un amore non ricambiato, quell’amore che ispirò versi immortali ai poeti del dolce stil novo.

Guardati attorno, con gli occhi dell’anima spalancati sull’umanità , potresti scorgere una bambina che cerca di svuotare il mare con la rossa paletta della fantasia.
Porta sul capo un rosso berretto, porta nel cuore un germoglio di speranza. La speranza di ritrovare le tracce della prima sirenetta, quella che poteva percepire i segreti desideri degli esseri viventi, quelle creature, cioè, che erano state dotate dal loro Creatore della Divina Capacità di Amare, con tutto il loro cuore, con tutta la loro anima, con tutta la loro identità di esseri viventi, icone visibili di un Dio Amore. Invisibile, ma Presente.
Vivo. Immortale.
L’Unico che non delude le Attese, che può donare la Vera gioia all’umanità.

Note su "Le sirenette di Taranto"

Anna Marinelli


Tutti i diritti di testi e immagini sono riservati agli autori originari dei documenti. - 25.2.2006

 

   

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