Co/Stretto  nello stretto

 

 

Ho attraversato rotte abissali e potenti flutti, ho circumnavigato l’isola a triangolo numerose volte, spesso ho aggirato il periplo della Trinacria a soddisfare sete di curiosità, io che sono parte di acqua più che di terra. Ma da qui sotto, con occhi glauchi, vedo, al di là della massa liquida che mi sovrasta, meglio di chiunque altro.
Mi affiancano l’oscurità dell’oceano e i pesci abissali che illuminano la mia rotta, e sono numerosi in questa fossa solcata dalle correnti ascensionali che volentieri mi sbatterebbero contro Capo Cenide, se solo mi lasciassi andare al mio destino.
Ma conosco le rotte delle correnti, seguo passo passo il loro moto vorticoso e come un uccello in acqua mi lascio trasportare, vivo nel mezzo delle cose, nel mezzo di una terra divisa che mi fece spazio, non appartengo a sponde ed il mio essere sospeso nel galleggiamento o nell’immersione ha qualcosa di incomprensibile per chi è abituato a tastare il suolo.

Hanno detto che reggo l’isola con la mano e che tre colonne stanno lì lì per frantumarsi sotto il peso del Mongibello, ma qui l’architettura è un’altra cosa.
Pareti scoscese e levigate ospitano le alghe gigantesche dove a volte trovo riparo nascondendomi alle fiere e ai pescecani. Sguazzo nell’acqua e compio capriole come i delfini, sono Colapesce di una specie nuova, un ibrido ante litteram, un esperimento da laboratorio genetico.
Mi apparento al Minotauro terrestre, ma il mio labirinto non ha pareti attorcigliate, per questo la mia casa è instabile  e le fondamenta che la sostengono conficcano i loro pali nell’abisso.
 
Eppure da qui sotto, come dicevo, tutto appare più chiaro come se la massa liquida che mi sovrasta diventasse una gigantesca lente d’ingrandimento, e ciò che vi si affaccia moltiplicasse la sua dimensione. Così vi vedo, voi normali, mentre vi agitate in inutili corse, vi vedo percorrere in superficie la mia nasse liquida che intuba il Mare Nostrum, vi vedo annaspare in cerca di un approdo o di un lido. 
Per rispettare la fauna locale a Mortelle nei pressi di Peloro ne hanno fatto, persino, uno a forma d’aragosta: un carapace gigantesco come un mostro acquatico degno del Tacca che pare m’abbia scolpito nella più nota fontana, agli Innocenti, nello slargo ritagliato dal sommo architetto  fiorentino.

Ma non solo di bronzo rifecero il mio profilo, e del mio nome fecero grancassa, mi appellarono in molti modi: Colapesce (Muccioli), Cola Pesce (Lanza e Calvino, Colas Piscis (Fazello), De Cola Pisce (Pontano), De Nicolao Pisce (Pipino), Colon (D’Alessandro),Il Pesce Cola (Omodei), Cola Pesce l’urinatore (Kircher), Niccolò Pesce (Trecate e Benedetto Croce,) Colar (Spallanzani), Cola Pisci (Pitrè), Nicola homo siculus (De Adam), Pesce Colano (Lancillotti),    Polonger Fameux, Nicolas l’homme poisson (l’abate De Saint Non), Palombaro Nicolas di Capo Matapan soprannominato il Pesce (Verne), e sospetto che il Colangelo, pescatore di Otranto (Maria Corti), derivi dal mio essere.
Fluttuo persino nel nome non solo nei liquidi, e chi pensate che sia il protagonista di Water World, chi pensate sia l’ispiratore del fumetto Marvel Sub-Mariner, o Aquaman o Toriton se non io.
Il siracusano Maiorca e il francese Mayol seppero imitarmi con ottimi risultati e quest’ultimo, come me si lasciò morire nelle profondità, io, anarchico, mi rifiutai di riportare l’anello a Federico II, non sono un cane, e ho preferito ingurgitare acqua anzichè comandi.

Gli uomini sopra di me    mille volte hanno    ipotizzato di congiungere le sponde, schiacciandomi entro l’alveo maledetto, ma Rezo la divisa, non ama il  ricongiungimento.

Qua lo spazio è quadripartito, c’é un alto e un basso, un destro e un sinistro.
L’alto lo domina la Fata, l’abisso mi compete, le sponde il Fato. E sulle sponde hanno scatenato la loro furia costruttiva, non v’è approdo che non mi lasci sbigottito, tanta è l’immondizia che vi si trova, qua e là relitti e carcasse d’edifici venuti male, strutture faraoniche  senza precedenti intasano la vista e il canale, più volte hanno tentato un attraversamento, con ponti, o barche e botti tenute assieme, canali galleggianti, o teleferiche, o cunicoli sottomarini, tutti per far presto, come quel San Francesco, paolano, inventore del windsurf ante litteram, che aiutai persino nella traversata.
Ora imbarcazioni bifronti, dai nomi mitologici, replicano lo sbarco militare sulle coste, dove nessuna architettura di qualità attende il piede sulla terra.
Anche quaggiù non è meglio, l’acqua è torbida e c’è di tutto, dai vascelli pirata, ai bidoni di scorie, tanto chi si accorge in superficie! Quel catasto magico della Corti, non è poi così magico, solo il vino resinato mi fa compagnia, lo estraggo dalle anfore allungate, sommerse assieme agli scafi nella rada di Porticello.
Ma anche da brillo le cose non vanno meglio, anzi, la vista storpia gli oggetti e i palazzi, le mura possenti delle città e le alberature, tutto si decostruisce come per effetto di un terremoto, sul mio corpo si è concentrata la scossa del 1908 e ho sperimentato in contemporanea l’ondulatorio il sussultorio e il rotatorio, ma l’onda non mi spostò di un millimetro.
Ora in superficie imitano i flussi e le fluidità nelle costruzioni, parlano di città liquida imitando il mio andirivieni.
Chi contrapporrà gli elementi, il rigido al morbido, il duro al molle se tutto si rassomiglia, forse dovrò prendere coscienza che il mondo intero agisce sotto pressioni e forze fisiche che modellano tutto, io mi oppongo come posso, ma in fondo tutto ciò mi piace, e  sto qui, ammarato,   co/Stretto nello Stretto.
 



Marcello Séstito
Reggio Calabria, 10 maggio 2008

 

 

   

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