Farò un breve
elenco delle sole specialità, essendo sicuro di saltarne moltissime.
Fra gli aperitivi: melanzane sott’olio, salame S.Angelo, provola sfoglia di
Montalbano, pomodori secchi sott’olio, pesce sott’olio o salato, capperi e “cucùnci”
di Salina, ecc.
Fra i primi piatti: l’esclusivo “ciuscèddu”, la pasta “ ‘ncaciàta
“, i “maccarùni‘i casa”, le fave a “maccu” (cull’ògghiu
santu) o a “cunìgghiu”, pasta “c’u niru”, pasta e fagioli
“ch’i scocci ‘i maiali”, la pasta con la ghiotta di pesce, gli
involtini di melanzane e spaghetti, ecc.
Fra i secondi piatti oltre al pesce che qui si dice abbia un gusto migliore
perché è più “lavorato” dalle correnti, possiamo ricordare l’insuperabile
ghiotta di pescestocco, le “braciòle” o involtini fatti con qualsiasi
cosa, dalla carne al pesce, alle melanzane, ai peperoni, poi i “vintrùzzi”,
le “stigghiòle”, i “stuppatèddi”, “cozzi ripièni”,
“suffrìttu”, “canni ‘i testa”, “pititti ‘i maiàli”, “ògghiua mari e pitìtti”, “bollìtu ammollicàtu” ecc.
Fra i contorni: la caponata, la peperonata e l’infinita varietà di piatti a
base di melanzane e carciofi o “cacòcciuli” per i quali, vista
l’origine araba, si è avuto tutto il tempo di imparare a cucinarli in ogni
modo possibile.
Fra i rustici: arancine, pitoni, scacciata, “scagghiozzi”, focaccia,
ecc.
Fra le salse il favoloso “sammurìgghiu”.
Fra la frutta: gli agrumi di Sicilia e tutta l’altra fantastica frutta
locale di stagione, soprattutto estiva.
Fra le bevande da dessert: la Malvasia di Malfa, lo Zibibbo di Lipari, la
così poco nota quanto ottima Amarena, il limoncello, il rosolio, ecc.
Però, senza offesa per nessuno, ciò che rimarrà assolutamente ineguagliabile
è l’arte pasticciera messinese.
Qui si fanno i migliori gelati e la migliore granita del mondo; i dolci poi
li esportiamo: dalla famosa “pignolata” alla artistica frutta in
pasta martorana, al bianco e nero, ai pasti secchi, a quelli ripieni, ai
cannoli e così via di seguito, fino a domani.
Nel tempo si è andato associando ad ogni festività, sia essa sacra che
profana, un menù tipico del giorno.
A Capodanno per esempio, durante il cenone, non possono mancare noci,
mostarda, castagne e fichi secchi, (adesso anche cotechino, salmone e pesce
spada affumicato); a Carnevale la salsiccia e la carne di maiale al sugo con
cui si condiscono maccheroni di casa o meglio ancora la tipica “pasta‘i
cannaluvàri” (mafalda).
Giovedì grasso si mangiano invece coste di maiale, il giorno di S. Giuseppe
le crispelle di uva passa.
Per il lunedì di Pasqua sono obbligatori l’uovo bollito, i “cacciòffuli
chini” e la “cuddùra” di uova.
Una certa religiosità, ma anche il fatto che la carne non ci si poteva
permettere di mangiarla sempre, imponeva di non “cammiràrisi” tutti i
venerdì, la vigilia di Natale ed il 13 dicembre, giorno di S. Lucia durante
il quale non si potevano mangiare neanche pasta e pane, in compenso però si
facevano scorpacciate colossali di riso, ceci e frutta secca; per la vigilia
di Natale invece ci si abbuffava di baccalà fritto o di pescestocco.
Nelle feste di paese, generalmente estive per consentirne la degustazione
anche ai numerosi parenti rientrati, si fa la carne di pecora infornata;
tipiche e caratteristiche sono alcune “lape” (motoapi) attrezzate
come forno a legna ambulante.
Ma la festa più
sentita in città è senza dubbio il Ferragosto durante il quale è
assolutamente vietato non mangiare “pasta ‘ncaciàta”, “jaddùzzu”,
costardelle, “stuppatèddi”, “muluni” e pesca nel vino.