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Anatomia e fisiologia dell'apparato riproduttivo nei pesci
di Mengoli A.

Introduzione
La riproduzione di una specie ittica dipende sostanzialmente dalla funzionalità del suo apparato riproduttore costituito da: gonadi che producono i gameti (maschili e femminili) e ormoni che condizionano il comportamento e lo sviluppo degli organi sessuali accessori e dei caratteri sessuali secondari; gonodotti per il trasporto di gameti o del zigote; può comprendere, inoltre, alcuni derivati della cloaca o un poro genitale e organi genitali esterni implicati nell’accoppiamento. Il presente lavoro intende fornire una descrizione generale dell’organizzazione e della struttura delle gonadi nei pesci nell’ambito del contesto generale dello sviluppo in associazione alla descrizione dei processi di differenziazione sessuale di ovogenesi e spermatogenesi. Nella seconda parte del lavoro si valuteranno, in particolare, i sistemi di riproduzione e di accrescimento negli Elasmobranchi e nei Teleostei.

Apparato genitale.
Le gonadi: ovaio e testicolo
Organizzazione morfo-funzionale delle gonadi
La gonade dei vertebrati è composta da due tipi fondamentali di cellule: le cellule germinali, che danno luogo alla formazione di gameti maturi (uova e spermatozoi), e le cellule non germinali o somatiche, che danno sostegno, nutrimento e aiutano la regolazione dell’attività e lo sviluppo delle cellule germinali.
Nelle gonadi sono presenti anche elementi di sostegno cellulari come le membrane basali. Nei Teleostei adulti, a parte alcune eccezioni, le gonadi sono strutture pari, allungate, attaccate alla cavità corporea da entrambi i lati del mesentere dorsale.
In molti Teleostei le pareti delle gonadi si estendono posteriormente a formare i gonodotti (ovidotti e spermiodotti) che spesso si fondono posteriormente prima di raggiungere il polo genitale.

Ovaio
Morfologia
Le strutture ovariche variano da relativamente semplici a organismi complessi.
Tipicamente le ovaie sono organi pari, di tipo sacciforme, ed occupano, una per parte, nella cavità celomatica, una posizione del tutto analoga a quella dei testicoli. Racchiuse da una tunica albuginea contenente tessuto fibroso e muscolare liscio, appaiono usualmente come un piccolo grappolo di sfere bianco-arancioni nei pesci immaturi. Quando sono mature possono rappresentare il 70% del peso corporeo.
Ogni ovaio è appeso alla volta addominale per mezzo di un mesentere (mesovario) che inferiormente si rivolge verso l’alto a formare la piega genitale, la quale delimita la doccia paraovarica. Nelle specie più progredite un breve condotto conduce le uova all’esterno attraverso l’apertura genitale. Le uova mature, infatti, cadono nella cavità celomatica e vengono convogliate in un canale formato dalla fusione della piega genitale sulle pareti del corpo detto ovidotto. Da qui, tramite energiche contrazioni dei muscoli della parete addominale, le uova vengono emesse all’esterno attraverso il poro genitale. Il peso delle ovaie mature nella trota iridea può rappresentare circa il 15-18% del peso corporeo, nella carpa circa il 32%.
Le specie più primitive (ad esempio, Salmonidi) non hanno un ovidotto completo e le uova vengono rilasciate in una piega del mesentere che eventualmente le rilascia poi in cavità peritoneale. Successivamente, raggiungono l’esterno attraverso l’apertura genitale. L’ovaio dei Teleostei è del tipo cistovarico (Hoar, 1969) cioè contiene un lume “ovocele” nel quale sono rilasciate le uova durante l’ovulazione.
Pieghe ovigere, lamelle ovariche, contenenti i follicoli in via di sviluppo frequentemente si estendono nell’ovocele. Questo, contrariamente a quanto avviene nei vertebrati, nei quali cioè le uova vengono rilasciate al di fuori della gonade nella cavità corporea. La funzione degli ovidotti è quella di condurre le uova o le larve, nelle specie vivipare, al poro genitale.
Tuttavia, nella femmina adulta di alcune specie come i Salmonidi, gli ovidotti regrediscono e le uova cadono all’interno della cavità prima di raggiungere il polo genitale, attraverso le rimanenze di un gonodotto a forma di imbuto. 
Prima dell’ovulazione le ovaie delle femmine mature sono degli organi relativamente grandi, occupanti la maggior parte della cavità corporea. In alcune specie il volume ovarico aumenta ulteriormente al momento dell’ovulazione per l’idratazione degli ovociti in via di maturazione.

Struttura anatomo-microscopica
Dal punto di vista morfologico funzionale l’unità basale dell’ovaio è il follicolo ovarico. L’organizzazione del follicolo ovarico è simile in tutti i Teleostei.
L’ovocita localizzato centralmente è circondato da un involucro cellulare vitellino, conosciuto anche come zona radiata o corion. Questo involucro è a sua volta circondato da cellule follicolari che sono organizzate in un monostrato interno di cellule della granulosa e in uno strato esterno di cellule tecali. La membrana basale separa questi due strati cellulari.
Negli ovari dei Teleostei possono essere ritrovati follicoli in tutti gli stadi di sviluppo, con momenti riproduttivi continui e prolungati (ad esempio, nel Syngnathus scovelli, il cavalluccio marino). Tuttavia, l’ovaio del cavalluccio marino non ha lamelle ovariche; esso è un tubo cilindrico delimitato da una parere ovarica esterna e un epitelio laminare interno.
I follicoli ovarici si trovano tra questi due strati ma la loro distribuzione non è casuale. In sezione trasversali dell’ovaio i follicoli sono organizzati secondo uno stadio evolutivo. I follicoli più giovani originano dalla cresta germinale nella parte dorsale della gonade e follicoli progressivamente più vecchi si riscontrano in maniera ordinata attorno alla periferia. Follicoli pienamente maturi sono riscontrabili nella parte cosiddetta matura (cioè deputata alla maturazione ovocitica e all’ovulazione).
Il parenchima dell’ovaio consiste di un tessuto stromale connettivale ben vascolarizzato contenente l’epitelio germinale e follicolare. Nel tessuto follicolare producente ormoni, le cellule ovariche primitive o primarie rivestono cavità vuote o cavità potenziali, formate da pareti ripiegate in maniera complessa in cui vengono rilasciati gli oogoni che durante il processo ricevono uno strato di piccole cellule epiteliali: sono le cellule della granulosa, responsabili della formazione del tuorlo dell’uovo. Questa è la struttura del follicolo ovarico.
Mano a mano che questo si accresce si forma tra l’ovocita e le cellule epiteliali una zona che si ispessisce gradualmente: la zona pellucida. Se un ovocita degenera prima dell’ovulazione, inizialmente viene invaso dalle cellule della granulosa e, successivamente, dai macrofagi. Durante l’esame dell’ovaio possono essere viste uova a vari stadi di sviluppo e di degenerazione.

Aspetti fisio-istologici
Le cellule dello strato della granulosa risultano composte da una popolazione cellulare omogenea. Questo strato cellulare contiene anche le cellule micropilari, coinvolte nella formazione del micropilo. Il micropilo è un’apertura nell’involucro vitellino delle uova ovulate che permette l’accesso dello spermatozoo nella superficie dell’uovo durante la fertilizzazione. Lo strato delle cellule tecali è uno strato più eterogeneo composto di capillari, fibroblasti e spesso cellule tecali speciali.
Delle proiezioni (microvilli) dall’ovocita e dalle cellule della granulosa penetrano l’involucro vitellino attraverso i canali del poro. Questi microvilli, specialmente quelli originati dall’ovocita, possono essere visti formare dei contatti con apposing cell type. In molte specie che sono state esaminate si formano delle giunzioni tipo gap eterocellulari nei punti di contatto tra microvilli di origine ovocitica e quelli di provenienza dalle cellule della granulosa.
Le giunzioni gap sono strutture della membrana cellulare specializzate che danno continuità citoplasmatica tra le cellule. La loro funzione potrebbe essere quella di permettere lo scambio intercellulare diretto dei nutrienti e dei fattori che controllano lo sviluppo e la maturazione. Sono state descritte anche giunzioni tipo gap e tight omocellulari tra le cellule della teca, così come tra le cellule della granulosa nei follicoli ovarici dei Telostei (Iwamatsu e coll. 1988; Kessel e coll. 1988; York e coll. 1993).

L’uovo
Le uova dei pesci ossei sono telolecitiche, ossia il vitello o tuorlo è molto sviluppato rispetto al citoplasma cellulare o macchia germinativa.
La grandezza e il numero delle uova prodotte varia da specie a specie: da 1 mm nello Scoliodon a 100 mm negli squali nutrice (Ginglimostomatidi) e nello squalo dal collare Chlamydoselachus anguineus; possono essere prodotte in entrambe le ovaie come avviene nello squalo nello Squalus acanthias oppure soltanto in quello di destra, che è quella effettivamente funzionale nella maggior parte delle specie.
Nella trota iridea misurano circa 4-5,5 mm di diametro e sono in media 2.000 per ogni chilo di peso vivo; il loro diametro è proporzionale alla grandezza del riproduttore, ma il loro numero per chilo di peso vivo è più alto nei riproduttori di piccola mole (purché non al di sotto dei 200 grammi).
Nella carpa hanno un diametro di 1,5-2 mm e sono deposte in numero di 200.000 per ogni chilo di peso vivo.
Negli Elasmobranchi le uova rilasciate nella cavità addominale vengono sospinte dall’azione di cellule ciliate verso uno o entrambi gli ovidotti, lungo i quali discendono sino a quando non raggiungono la ghiandola nidamentale dove avviene la fecondazione e inizia la gestazione, oppure avviene la deposizione.
Subito dopo, e sempre per opera della ghiandola nidamentale, per questo detta “ghiandola del guscio”, la femmina secerne un rivestimento protettivo che nelle specie ovipare assume l’aspetto di una teca cornea molto resistente, mentre in quelle vivipare può ridursi a una membrana sottile, ma talvolta molto ampia, come si è scoperto nello squalo Carcharhinus dussumieri. In questa specie, infatti, le uova fecondate, del diametro di 20 mm, sono avvolte da una membrana che può superare i 40 cm di lunghezza e che viene mantenuta ripiegata nella parte anteriore dell’utero. Da qui, lentamente, questo “pseudo guscio” si svolge man mano che l’embrione aumenta di dimensioni. In genere, dopo le fecondazioni, le fasi che portano alla formazione e allo sviluppo dell’embrione avvengono con regolarità, ma questo non impedisce ad alcune specie come lo squalo australiano dal muso affilato di bloccarne la crescita per un periodo di tempo che può protrarsi anche per sette mesi, allo scopo di far coincidere il parto con le condizioni ambientali più favorevoli ai nuovi nati.
La biologia riproduttiva degli Elasmobranchi è molto più complessa e variegata di quanto ci si possa aspettare da un gruppo di vertebrati filogenicamente così poco evoluti e specializzati, e riconosce soggetti con modalità riproduttive di 2 tipi: ovipari e vivipari.

Testicoli
Morfologia
I testicoli appaiono come due formazioni allungate, di colore bianco latteo, che decorrono una per lato nella cavità celomatica, estendentesi dall’occipite fino all’apertura anale; essi risultano sospesi tramite un mesentere (mesorchio) alla parete addominale dorsale adiacente alla vescica natatoria e terminano assottigliati nei dotti spermatici che sboccano nel poro genitale.
Nel maschio della trota iridea in fregola rappresentano circa il 3,33-3,9% del peso corporeo totale. La loro grandezza varia in relazione all’età del pesce e alla stagione: da piccole strisce nei giovani, possono diventare molto grandi negli adulti e arrivare fino al 12% del peso corporeo totale.
I testicoli si trovano all’interno di una sottile tunica albuginea e sono composti da una serie di tubuli seminiferi o sacchi a fondo cieco rivestiti con un epitelio spermatogenico, sia per tutta la loro lunghezza (come ad esempio nei Salmonidi e i Ciprinidi) o solamente nella parte terminale distale.
La porzione caudale dei testicoli di specie come gli Ictaluridi e alcuni Ciprinidi è rivestita da cellule epiteliali secretorie non germinali, che possono contribuire allo stoccaggio e nutrizione degli spermatozoi e alla formazione dello sperma.
L’epitelio spermatogenico produce gli spermatociti che eventualmente possono andare incontro a divisione meiotica e produrre gli spermatozoi. Gli spermatozoi vengono nutriti dalle cellule del Sertoli fino al loro rilascio.
Nella maggior parte delle specie gli spermatozoi sono emessi da ciascun testicolo attraverso il dotto deferente. I due condotti si uniscono caudalmente e gli spermatozoi vengono rilasciati nell’ambiente attraverso l’apertura genitale a livello di papilla urinaria. Questi condotti sono assenti in alcune specie relativamente primitive come i salmonidi, dove gli spermatozoi vengono rilasciati nella cavità corporea prima di emetterli all’esterno attraverso l’apertura genitale.
Non esiste nei testicoli un sistema linfatico del tipo che può essere riscontrato nei Mammiferi e il tessuto fibroso interstiziale contiene cellule secernenti ormoni

Struttura anatomo-microscopica e aspetti fisio-istologici
L’organizzazione dei testicoli è diversa da quella dell’ovaio e riflette una situazione anatomica e funzionale diversa nello sviluppo dei gameti maschili.
In passato i testicoli dei Teleostei sono stati classificati come appartenenti ai tipi spermatogenici ristretto o non ristretto, basati cioè sulla localizzazione degli spermatozoi (Grier, 1981) o ai tipi giugulare o tubulare in base alla presenza o assenza del lumen ( Billard, 1986). In queste classificazioni i tipi spermatogenici ristretto o non ristretto corrispondono rispettivamente ai tipi testicolari giugulare e tubulare.
Più recentemente Callard (1991), utilizzando un approccio filogenetico più ampio, ha classificato i testicoli di tutti i vertebrati come tubulari (Mammiferi, Uccelli e Rettili) o loculari (Teleostei, Anfibi). Nella classificazione di Callard un tubulo è un compartimento germinale aperto dei testicoli, mentre un loculo è un sacco a fondo cieco. Così molti testicoli dei Teleostei vengono ad essere classificati di tipo loculare, malgrado differenze nel modello della distribuzione spermatogonica o la presenza o assenza di un lume all’interno del loculo.
Grier nel 1993 si è trovato in accordo con la classificazione di Callard (1991), ma ha descritto un nuovo tipo di testicolo tubulare riscontrato nei Teleostei: il testicolo tubulare anastomizzante.
Testicoli tubulari anastomizzanti sono riscontrati in Teleostei filogeneticamente meno evoluti (ad esempio, Lepisosteus platyrhincus, Ictalurus atalis, Opisthonema oglinum, Dorosoma petense, Esox niger, ecc…) e sono caratterizzati da una rete ramificata di tubuli che, come i tubuli testicolari dei Mammiferi, formano delle anse alla periferia della gonade (Grier, 1993).
Nel presente lavoro è stata adottata la classificazione di Callard del 1991 come modificata da Grier nel 1993 in testicoli lugulari e tubulari anastomizzanti. Comunque, l’enfasi sarà maggiormente sui testicoli lugulari, poiché sono a disposizione  relativamente poche informazioni sui testicoli lugulari anastomizzanti.
I loguli testicolari nei Teleostei sono demarcati da una membrana basale e da uno strato sovrastante di cellule confinanti (Mioidi). I loguli contengono gli spermatocisti che sono unità sferiche composte di cellule germinali e cellule del Sertoli. Gli spermatocisti sono delimitati parzialmente o completamente a seconda della specie da una membrana basale.
Le cellule germinali all’interno di una spermatocisti sono collegate citoplasmaticamente da ponti intercellulari e la loro differenziazione è abbastanza sincrona. Nelle specie con loguli vuoti (come la maggior parte dei Teleostei) gli spermatogoni così come gli spermatocisti a vari stadi di sviluppo, possono essere visti attraverso la maggior parte della lunghezza del logulo e gli spermatozoi maturi sono rilasciati al momento della produzione spermatica all’interno del lume logulare.
Tuttavia, nei testicoli con loguli solidi pieni (ad esempio, Atheriniformi) gli spermatocisti sono organizzati secondo uno stadio evolutivo di sviluppo, cominciando al livello di fondo cieco del logulo, che contiene gli spermatogoni e finendo al livello del dotto efferente, all’interno del quale gli spermatozoi vengono rilasciati dagli spermatocisti.
In molte specie le cellule steroidogeniche (cellule interstiziali di Leydig) possono essere osservate negli interstizi tra i loguli (Billard, 1986). Tuttavia, in alcune altre specie, i loguli e le cellule del Leydig sono riscontrate in zone separate dei testicoli.
Tra i Cordati le due funzioni generali delle cellule del Sertoli sono: di fagocitare le cellule germinali generate o in via di degenerazione e i corpi residuati; di formare la barriera cellulare del Sertoli (Grier, 1993). La barriera cellulare del Sertoli è il risultato delle giunzioni serrate “tipo tight” che si formano tra le cellule del Sertoli. Questa barriera è anche conosciuta come barriera protettiva delle cellule germinali maschili o barriera sangue-testicoli (Abrahams, 1991).
Nei teleostei le membrane basali testicolari possono funzionare anche come barriere non funzionali (Abrahams, 1991). Le cellule del Sertoli, le cellule germinali, le membrane basali logulari o tubulari o, quando presenti, le membrane basali spermatocistiche costituiscono l’epitelio germinale dei testicoli dei vertebrati.
Nei pesci Atheriniformi lo spermatocista rilascia tutte le cellule germinali (spermatozoi) nel dotto deferente durante la produzione spermatica e le cellule del Sertoli possono diventare sia parte dell’epitelio del dotto deferente, sia parte dell’epitelio del dotto efferente o anche rigenerarsi (Grier, 1993). Conseguentemente, l’epitelio germinale nel testicolo delle specie di questo ordine tassonomico non è permanente. Se vi sia un epitelio germinale permanente nei testicoli dei Teleostei diversi dagli Atheriniformi non è ancora stato stabilito (Grier, 1993).

Sperma
Lo sperma o latice è un liquido bianco-cremoso che viene emesso in corrispondenza della papilla genitale a seguito di lieve pressione dell’addome, ma solo durante il periodo di fregola. In tale periodo, esso può venire spremuto anche più di una volta e in tal modo si può ottenere da un maschio di trota iridea sperma nella misura dell’8,82% del peso corporeo. Esso presentava un pH di 7,3-7,6 e un contenuto in cloruri del 0,26-0,34%.
Gli spermatozoi sono flagellati, misurano sui 32-39 micron e se ne contano fino a 10 miliardi in un cc di sperma. Sono immobili nello sperma non diluito, diventano mobili se questo viene diluito con acqua. La durata di questo movimento è comunque molto breve (da 30’’a 90’’) ed è influenzata da fattori ormonali, termici, chimici. Particolare influenza ha il pH dell’acqua, i cui valori più favorevoli sono fra 5 e 9; al di sotto e al di sopra di tali valori si ha un rallentamento o arresto dei movimenti spermatici, salvo rare eccezioni (ad esempio, in alcuni Ciprinidi, essi sono presenti anche a ph di 3,5-3,7).
Con l’aumentare della temperatura si eleva l’intensità dei movimenti, ma se ne abbrevia la durata. La presenza di sali nell’acqua (ad esempio, soluzioni al 20% di acqua di mare o soluzioni osmoticamente equivalenti) può prolungare fino a tre ore tale durata.

Ormoni gonadali
Gli estrogeni e androgeni sono prodotti dalle gonadi sotto il controllo delle gonadotropine secrete dalla ghiandola pituitaria o ipofisi. Questi ormoni sono prodotti da tessuti interstiziali dei testicoli e dal tessuto testicolare nelle ovaie. Essi possono avere un effetto su una grande varietà di tessuti causare cambiamenti correlati allo sviluppo sessuale, come cambiamenti di colore, ingrossamento dell’area urogenitale, ecc… Hanno anche un effetto sul metabolismo dei carboidrati, delle proteine e dei lipidi. Gli androgeni tendono ad aumentare la ritenzione proteica e gli estrogeni le riserve lipidiche.

Attività endocrina dell’ovaio
L’ovaio produce ormoni che in parte entrano nel sangue, in parte agiscono in loco regolando i processi di maturazione delle uova. Le cellule della teca producono estrogeni ormoni femminili che oltre ad agire su organi bersaglio a distanza stimolano la maturazione del follicolo. Le cellule della teca producono anche androgeni che, inviati nella granulosa, verranno poi trasformati in estrogeni delle cellule follicolari.
Il corpo luteo produce un ormone, il progesterone, che in tutti i vertebrati, sia vivipari che ovipari, ha la funzione di preparare la mucosa uterina ad accogliere l’uovo fecondato. Nei Vertebrati in generale agiscono due gonadotropine: l’FSH stimola la proliferazione delle cellule della granulosa e l’attività endocrina delle stesse; l’LH stimola l’attività endocrina delle cellule della teca e all’ovulazione stimola la luteinizzazione del follicolo e l’attività del corpo luteo.

Attività endocrina del testicolo
Il testicolo produce ormoni androgeni (principalmente testosterone, ma anche piccole quantità di estrogeni) che in parte entrano nel sangue e agiscono su diversi bersagli (pelle, laringe, sistema nervoso centrale, muscolatura,…) conferendo il complesso dei caratteri sessuali maschili, in parte agiscono in loco regolando la spermatogenesi. Dagli androgeni dipendono le normali funzioni delle vie spermatiche e delle ghiandole annesse che producono il liquido seminale, dalla cui composizione dipende la vitalità degli spermatozoi.
L’attività endocrina del testicolo e la spermatogenesi sono sotto il controllo della adenoipofisi, che produce una o due gonadotropine che hanno come bersaglio le gonadi. In gran parte dei Vertebrati l’adenoipofisi produce due ormoni gonadotropi, l’ormone luteinizzante (LH o ICSH) e l’ormone follicolo stimolante (FSH).
L’LH stimola le cellule di Leydig dell’interstizio a produrre androgeni (> testosterone), che vengono inviati sia nel circolo sanguigno sia nel compartimento germinale (tubuli seminiferi o spermatocisti) del testicolo, ove il testosterone si lega a una proteina sintetizzata dalle cellule del Sertoli, l’ATP (androgen binding protein), formando un complesso (ABP-testosterone) che, inviato nelle vie spermatiche (dotti efferenti), mantiene vitali gli spermatozoi.
L’FSH ha come bersaglio le cellule di Sertoli, in cui stimola la sintesi di ABP e di ormoni steroidi. Inoltre, L’FSH stimola — probabilmente sempre tramite le cellule di Sertoli — la sintesi del DNA negli spermatogoni tipo B e negli spermatociti preleptotenici. La spermatogenesi è poi regolata dalle interazioni esistenti tra le cellule di Leydig e le cellule di Sertoli, che producono un complesso di fattori che agiscono in loco per via paracrina. Le cellule di Sertoli, ad esempio, producono fattori (activina, inibina, TGFα) che influenzano i recettori per l’LH delle cellule di Leydig.

Vie genitali
Sono tipici organi cavi, con tratti variamente differenziati nei diversi vertebrati e con la parete costituita da una serie di tuniche variamente strutturate in rapporto alle strategie riproduttive.
I gonodotti mancano nei Ciclostomi, dove i gameti vengono liberati direttamente nella cavità peritoneale e da qui sono convogliati in un seno urogenitale (nei Petromizonti) o nella cloaca (nei Missinoidi). I gonodotti mancano anche in alcuni Teleostei: ad esempio, nella femmina delle Anguille e nei Salmonidi di entrambi i sessi, e i gameti vengono quindi liberati nella cavità celomatica. Essi sono accolti in una doccia peritoneale che si forma dalla porzione caudale (sterile) della cresta genitale e si apre direttamente tramite un poro genitale.
Negli altri Teleostei questa doccia peritoneale si chiude a costituire un canale che si isola dalla parete del celoma e resta in diretta comunicazione con la gonade. Sia il dotto spermatico che l’ovidotto si aprono direttamente all’esterno in corrispondenza di una papilla genitale interposta tra l’ano, in avanti, e l’orifizio urinario. In tutti gli altri Vertebrati, il sistema dei gonodotti attraversa uno stadio di sviluppo che è comune a entrambi i sessi ed è rappresentato da due canali, il dotto di Wolf (che verrà utilizzato nel maschio come dotto spermatico) e il dotto di Muller (che diverrà il gonodotto femminile).
Negli Elasmobranchi il dotto di Muller si origina da uno sdoppiamento longitudinale del canale di Wolf. Negli altri Vertebrati, anche se non si può escludere una partecipazione del dotto di Wolf, il dotto di Muller sembra derivare principalmente dalla sierosa parietale che forma una doccia i cui margini poi si chiudono a formare un canale.

Vie genitali maschili e organi copulatori
Negli Amnioti e in alcuni Teleostei la produzione di spermatozoi avviene all’interno di un epitelio germinale organizzato in tubuli seminiferi.
Gli spermatozoi maturi si separano dalla parete dei tubuli e con propri movimenti raggiungono la rete testis, che è un complesso di canali collettori entro cui si accumulano gli spermatozoi. Tramite poi una dozzina di dotti efferenti, a seconda delle specie, gli spermatozoi migrano all’epididimo, estremo cefalico del dotto mesonefrico. In effetti, i dotti efferenti sono dei tubuli mesonefrici modificati che, invece di associarsi ai glomeruli, si connettono con il testicolo in sviluppo.
In gran parte dei Vertebrati con rene definitivo di tipo mesonefrico, l’uretere primario (dotto di Wolf) trasporta sia l’urina che lo sperma, fluido contenente gli spermatozoi.
Negli Anamni, ad eccezione di alcuni Teleostei, il testicolo non è formato da tubuli seminiferi: l’epitelio germinale delle creste genitali si introflette e poi si organizza in ampolle o cisti, ciascuna delle quali contiene cellule gametogenetiche a stadi definiti e successivi di maturazione.
Al termine della stagione riproduttiva le ampolle seminifere si svuotano e collassano dopo essersi svuotate degli spermatozoi maturi. In alcuni Pesci vi è la tendenza alla formazione di nuovi dotti spermatici che sostituiscono il dotto mesonefrico in questa funzione.
Nei Teleostei si realizza la completa separazione tra vie urinarie  (dotti mesonefrici) e vie spermatiche (nuovi dotti derivati dal dotto spermatico longitudinale o canale marginale.
In tutti gli altri Pesci, negli Anfibi e negli Amnioti il dotto mesonefrico embrionale mantiene nei maschi adulti la funzione di dotto spermatico. Esso viene chiamato dotto deferente quando la funzione esclusiva è di trasporto degli spermatozoi. In alcuni Vertebrati inferiori (Elasmobranchi, Urodeli) possono formarsi dei dotti urinari accessori e, pertanto, il dotto mesonefrico acquista prevalentemente o esclusivamente funzioni di dotto spermatico.
I dotti spermatici si svuotano nella cloaca in tutti i Vertebrati, ad esclusione dei Mammiferi placentati nei quali gli spermiodotti terminano nell’uretra.
Nei Pesci a fecondazione interna, salvo alcune eccezioni, i maschi sviluppano organi copulatori per l’introduzione degli spermatozoi nelle vie genitali femminili. Gli organi copulatori degli Elasmobranchi sono modificazioni delle pinne pelviche: si tratta di appendici digitiformi (pterigopodi) dotate di doccia. In alcune specie di squali è presente nello spessore della pinna, alla base dello pterigopodio, un sacco a sifone con pareti muscolari, dove sono secreti mucopolisaccaridi con valore energetico che si aggiungono al liquido spermatico.
In molti Teleostei è presente per la fecondazione interna un gonopodio che deriva da una modificazione della pinna anale.

Cloaca o apertura genitale, vie genitali femminili e residui dei dotti di Muller nei maschi adulti
Nell’embrione di quasi tutti i vertebrati, fanno eccezione i Petromizonti e alcuni Osteiti, è presente una cloaca, cioè una cavità nella quale si aprono l’intestino, gli ureteri e le vie genitali. Questa cavità persiste nell’adulto degli Elasmobranchi; manca invece in gran parte dei Pesci Ossei.
Negli Elasmobranchi sono presenti due rudimentali ovidotti che iniziano con un ostio a livello del legamento falciforme, ruotano intorno all’estremità anteriore del fegato sulla superficie del legamento coronario, dopo il quale scompaiono nel tessuto connettivo. Nella porzione caudale i residui mulleriani presenti nei maschi degli Elasmobranchi sono i due sacchi spermatici.
Ovidotto, anche detto tromba uterina, è un termine che si usa spesso anche per indicare l’intera via genitale femminile. Ad eccezione dei Ciclostomi, che non posseggono veri e propri gonodotti, nei Vertebrati (esclusi i Mammiferi placentati) il sistema di dotti genitali femminili rivela lo stesso piano strutturale di tipo generale. Tale sistema, come detto sopra, comprende due ovidotti, muscolari e ghiandolari: essi iniziano con un’apertura verso il celoma, l’ostio, cui segue l’infundibulo a forma di imbuto, e terminano nella cloaca o in una sua suddivisione.
Ad esclusione degli Attinopterigi, il sistema dei dotti genitali femminili si differenzia a partire dai dotti di Muller che compaiono in entrambi i sessi senza però completare il differenziamento nei maschi. I dotti di Muller degli Elasmobranchi e degli anfibi derivano dalla scissione longitudinale dei dotti pronefrici e il loro ostio si forma a partire da uno o più nefrostomi pronefrici anteriori.
Negli altri Vertebrati, ciascun dotto di Muller deriva da una doccia longitudinale dell’epitelio celomatico, con andamento parallelo al dotto mesonefrico. La doccia successivamente si salda lungo i margini formando un tubo aperto anteriormente con un’espansione che diviene l’ostio.
Caudalmente i dotti sboccano nella cloaca. I dotti di Muller delle femmine di Elasmobranchi specializzano porzioni rispettivamente definite ghiandola del guscio e utero.
La parte cefalica della ghiandola del guscio secerne l’albume, mentre quella caudale secerne materiali che concorrono alla formazione di un guscio scleroproteico. Quest’ultimo è molto sottile nelle specie vivipare, mentre in quelle ovipare è coriaceo e spesso dotato di propaggini spiraliformi per l’ancoraggio alla vegetazione marina. Le due aperture embrionali verso il celoma successivamente si uniscono per formare un ostio e un infundibulo unico sostenuto dal legamento falciforme.
Uova macrolecitiche grandi, come quelle degli Elasmobranchi, possono venire veicolate dal celoma verso gli ovidotti con un meccanismo che si presume simile a quello, osservabile direttamente, per le uova pure macrolecitiche del pollo. L’uovo rilasciato dall’ovario è ancora molle e deformabile: in pratica è una massa flottante di tuorlo avvolto da una membrana cellulare non rigida.
Sotto l’influenza degli ormoni dell’ovulazione, i bordi (fimbrie) dell’imbuto infundibulare iniziano un delicato movimento ondulatorio. Quando le fimbrie entrano in contatto con la massa dell’uovo, lo abbracciano prima delicatamente e poi più saldamente, trascinandolo nell’imbuto che lo ingloba completamente. La contrazione muscolare della parete spinge poi la massa molle dell’uovo oltre l’ostio verso l’ovidutto; di seguito i movimenti peristaltici dell’ovidutto spingono l’uovo sempre più caudalmente. Gli ovidotti dei Teleostei non sono omologhi di quelli degli altri Vertebrati; essi derivano dai prolungamenti caudali delle pieghe delle creste genitali che portano alla formazione di ovari cavi e sono in diretta continuità con tali cavità.
Questi ovidotti sono imbutiformi, relativamente corti, e sboccano in papille genitali esterne pari o impari, per mancanza di un infossamento cloacale. Le papille impari di alcuni Teleostei possono presentarsi relativamente lunghe per un controllo della deposizione delle uova (ovodepositori). In alcune specie, la continuità tra ovidotti ed ovari viene secondariamente perduta e le uova vengono riversate nel celoma.

Riproduzione e crescita embrionale
Elasmobranchiomorfi e Latimeria
Riproduzione

Il periodo riproduttivo sembra per lo più legato a variazioni della temperatura ambientale che inducono risposte ormonali finalizzate alla riproduzione e spesso coincidenti con l’inizio delle migrazioni. Tuttavia, anche se si è scoperto l’esistenza di cicli riproduttivi, non si hanno ancora le idee chiare sulle dinamiche riproduttive degli squali: alcuni si riproducono tutto l’anno, altri solo in certe stagioni, altri alternano fasi riproduttive a fasi di riposo più o meno lunghe.
La riproduzione non è poi proprio un momento “delicato” vista la natura aggressiva di questi animali. Non si riconosce un vero e proprio corteggiamento, ma momenti di approccio iniziale destinati a inviare segnali per ridurre l’aggressività intraspecifica.
Affinché l’accoppiamento avvenga, maschio e femmina devono mettersi affiancati e paralleli con la parte ventrale contrapposta, ma tale operazione non è semplice. Il compito di indurre la femmina ad assumere la posizione adatta spetta al maschio che, per riuscirci, la prende a morsi, cercando di sfruttare in ogni modo le caratteristiche del fondale. Dall’accoppiamento escono comunque malconci in genere entrambi i partner, che presentano infatti in vita segni visibili di morsi e graffi sul dorso, fianchi e sulle pinne. Ciò è la conseguenza della contrapposizione fra la maggior aggressività dei maschi e le maggiori dimensioni delle femmine.
I violenti preliminari che precedono l’accoppiamento hanno portato all’evoluzione di forme di difesa passiva nelle femmine, con sviluppo di una pelle molto più spessa che nel maschio. Il sesso maschile è riconoscibile grazie ai visibili “pterigopodi”, due organi copulatori derivati dalle pinne pelviche o ventrali modificate.
Normalmente orientati all’indietro, al momento dell’accoppiamento vengono ruotati in avanti e verso l’esterno per mezzo di particolari muscoli collegati alle pinne ventrali. Comunque solitamente durante l’accoppiamento solo uno dei due pterigopodi viene inserito nell’apertura genitale femminile e in alcune specie l’apice è in grado di aprirsi in modo da mantenere dilatato l’ovidotto e facilitare il passaggio dello sperma. Esso viene spinto unitamente ad acqua di mare precedentemente aspirata da particolari sacche muscolari. L’accoppiamento può precedere l’ovulazione anche di un mese, in quanto lo sperma viene conservato dalle femmine in una specifica ghiandola nidamentale, particolarmente sviluppata nelle specie ovipare. In alcuni casi, gli spermatozoi possono essere conservati nella ghiandola nidamentale anche fino a due anni, come osservato nel gattuccio Scyliorhinus canicula.
Un fenomeno simile si verifica anche nelle ben più grosse e specializzate verdesche — in cui la fecondazione può essere ritardata di alcuni mesi — nel Rhizoprionodon taylori e probabilmente anche in altri Carcarinidi.
Una volta che il pterigopodio si è ancorato all’interno della vagina, le spermatofore, sacchetti in cui si sono nel frattempo accumulati gli spermatozoi, discendono lungo il dotto deferente sino alla cloaca, dove si mescolano all’acqua del sifone che viene spinta a forza attraverso gli pterigopodi. In questo modo, una gran quantità di spermatozoi, liberati a contatto dell’acqua dal rivestimento che li racchiude, si trova proiettata nelle prime vie genitali femminili, da cui possono risalire sino all’utero e alla ghiandola nidamentale, dove incontreranno le uova.
Negli Elasmobranchi e negli Olocefali (Chimere) la fecondazione è interna, poiché le parti più interne delle pinne pelviche, gli organi prensili, sono arrotolati a formare una sorta di tubo a margini sovrapposti. Questi organi prensili trasferiscono gli spermatozoi all’ovidotto della femmina. Dopo la fecondazione, le uova possono essere deposte sul fondo marino o ritenute all’interno dell’utero.
L’oviparità è ristretta alle Chimere, ad alcune famiglie di Razze (Rajoidea) e a quattro famiglie di squali: gli squali di Porto Jackson (Heterodontidae) gli squali bianchi (Rhincodontidae), alcuni degli squali “a tappeto” (Orectolobidae) e tutte le specie di pesce cane, ad eccezione di una (Scyliorhinidae). Le uova all’interno degli involucri spinosi variano in dimensioni da 1 cm nei pesce cani, a 30 cm nello squalo bianco (Figure 32, 33 e 34) e a 25 cm di lunghezza nel Chimeroide “Callorhynchus”.
La capsula dell’uovo è spinosa e può essere fornita di organi adesivi per attaccarsi alle alghe o alle pietre.
Nell’ambito degli Elasmobranchi la fecondità è abbastanza elevata. Alcune specie di Razze “Raja” possono deporre fino a 100 uova. Le uova vanno incontro ad un processo di incubazione che dura alcuni mesi o anche di più. I tempi registrati di incubazione sono 2,5-3 mesi in uno squalo a tappeto “Chiloscyllium griseum”, 4,5-8 mesi in alcune specie di Razza, 6-8 mesi in Scyliorhinus e 9-12 mesi negli squali di Porto Jackson “Heterodontidae” e nella Chimera “Hydrolagus colliei” (Figure 35b, 35c, 35d, 35e e 35f)

Placentazione negli Elasmobranchi
È una onfaloplacenta di tipo epitelio-coriale e, come la placenta coriovitellina degli Amnioti, è formata dalla membrana trilaminare del sacco vitellino e dalla mucosa dell’utero materno.
Fra tessuti materni e fetali resta sempre interposto il guscio dell’uovo, che è però assottigliato e in alcune specie la distanza fra sangue fetale e sangue materno può ridursi a 1 µm.
La viviparità non è necessariamente associata alla formazione della placenta e lo sviluppo all’interno del corpo materno può servire soprattutto a proteggere dalla predazione.
Anche gli Elasmobranchi, come i Rettili, hanno uova telolecitiche e l’embrione utilizza quindi il materiale nutritivo del sacco del tuorlo. In molti casi il sacco del tuorlo non è però sufficiente e, in assenza di una placenta, il feto si nutre del secreto dell’epitelio ghiandolare. Talora si nutre anche degli ovociti (oofagia) e nel momento in cui “mette” i denti cannibalizza i feti più giovani (adelfofagia) (Figure 37a, 37b e 37c).

Ovoviviparità e viviparità
La maggior parte degli squali e delle Razze che si prende cura della propria prole è ovovivipara (aplacentati); la sopravvivenza degli embrioni dipende dalla loro riserva del tuorlo vitellino, in quanto divoranti altre uova nell’utero (oofagia), come ad esempio nello squalo smeriglio (Lamna nasus) e in alcuni esemplari del genere Odontaspis.
Il Lamna e lo squalo volpe (Alopias vulpes) hanno un periodo di gestazione di circa 2 anni e i giovani (5 individui o meno) nascono con una lunghezza di circa 60 cm.
Le Razze ovovivipare dipendono da un latte uterino ricco di proteine e lipidi e prodotto da processi molto simili a quelli che possono essere visti nella produzione del latte dalla mammella dei mammiferi. Queste Razze non hanno la placenta ma dei “trofonemi” simili a filamenti che si estendono dalla parete uterina all’interno della bocca e delle camere branchiali, producendo il latte e agendo come membrane respiratorie, come ad esempio nel trigone viola, Dasyatis violacea, nell’aquila marina, Mylliobatis, e nella Razza farfalla, Pteroplatea.
Gli Elasmobranchi vivipari (placentati) sono sia gli squali martello o appartengono ai Carcarinidi, gli squali grigi; il pesce cane liscio (Mustelus) è un membro di questa famiglia. Negli Sphyrna si forma una corda placentale portante dei fini processi che aiutano l’assorbimento delle secrezioni materne. In alcune specie, come Mustelus canis, l’embrione dipende dal proprio tuorlo o vitello per i primi 3 mesi e solo successivamente si sviluppa una placenta per nutrire l’embrione nei rimanenti 7-8 mesi di gestazione. Questi squali giungono spesso in prossimità della riva per dare alla nascita in acque superficiali di zone “nido” (spesso in baie) dove gli adulti che potrebbero mangiare i giovani normalmente non si trovano. Ad esempio, almeno 8 specie di Carcarinidi e di pesci martello usano la baia di Cleveland del Nord dell’isola di Queen come area “nido”.
Gli squali e le Razze ovovipari tendono ad abitare il fondale di acque in prossimità della riva e ad essere di dimensioni relativamente limitate, con dei giovani di lunghezza alla nascita usualmente inferiore ai 30 cm. Gli squali e le Razze più grandi, invece vivipari, producono giovani che variano fra i 30 e i 70 cm di lunghezza. Il più grande squalo ovoviparo, lo squalo balena (Rhincodon typus), ha un involucro dell’uovo relativamente piccolo, circa 15x30 cm, mentre la specie vivipara più grande, lo squalo elefante (Cetorhinus maximus), produce giovani fra i 150 ed i 180 cm di lunghezza. Lamna nasus produce giovani di circa 70 cm di lunghezza e del peso di circa 10 kg, mentre la verdesca (Prionace glauca) ha una grandezza della nidiata che arriva a 54 esemplari, essendo i piccoli 31-47 cm di lunghezza, con un peso medio di 140 g. Come ci si può aspettare, c’è un relativo interscambio tra i numeri e la grandezza delle specie che hanno evoluto la cura dei piccoli. Il genere Mustelus è di interesse particolare nella misura in cui specie differenti hanno adottato strategie riproduttive diverse. Mentre il Mustelus laevis e Mustelus canis sono vivipari, anche se la placenta si sviluppa solamente dopo un periodo di ovoviviparità nell’ultima specie, M. vulgaris e M. antarcticus sono ovovivipari.

Latimeria
Il Celacanto, Latimeria spp., incuba delle uova molto grandi (come palle da tennis) per un considerevole periodo di tempo. Gli embrioni, 20-30 di numero, hanno grossi sacchi del tuorlo che possono anche essere visti in alcuni Celacantidi fossili. Gli adulti vivono fino ad una età di 11 anni o più. Nell’agosto del 1991 nelle acque adiacenti al Mozambico venne catturato un esemplare di Latimeria di 180 cm e 98 kg di peso, nel cui utero vi erano ben 26 feti a termine di 31-38 cm di lunghezza. Purtroppo la pesca al Latimeria rischia di portare all’estinzione questo straordinario “fossile vivente”.

Crescita
Per studiare i tassi di crescita necessitiamo di alcuni mezzi che ci permettono di determinare l’età. In alcune specie più studiate, come lo Spinarolo (Squalus acanthias) e la Razza (Raja clavata), sezioni trasverse della colonna vertebrale o dei corpi vertebrali corrispondono rispettivamente a modelli di crescita e a cambiamenti stagionali (questi anelli annuali sono utilizzati per determinare l’età dei pesci).
Nelle acque tropicali e subtropicali, ove c’è una minor stagionalità, gli anelli annuali possono essere meno evidenti o assenti. Holden ha studiato la crescita dello squalo spinoso usando una modifica dell’equazione di crescita di Von Bertalanffy, asserendo che le curve di crescita degli embrioni possono essere estrapolate per dare quella degli individui a crescita libera. L’equazione derivata è: l t+T/Lх = 1 –exp (–KT). Dove l t+T è la lunghezza alla nascita, Lх è la massima lunghezza osservata, T è il tempo di gestazione e K è una costante. In acque europee l t+T è 27,5 cm, Lх è 108 cm e il periodo di gestazione 2 anni. Così 27,5/108 = 1 –exp(–2K) o K = 0,15.
Questa costante di crescita derivata può essere comparata con il valore 0,11 derivato da dati reali di crescita in individui viventi in libertà; in generale, i valori di K sembrano essere 0,1-0,2 per gli squali e 0,2-0,3 per le Razze ma una eccezione è riscontrabile in 7 specie di palombi (Mustelus spp.), ove K varia da 0,22 a 0,53 per i maschi e da 0,21 a 0,36 per le femmine. In questo genere la maturità è raggiunta dopo 4 anni, con un tasso di crescita molto più veloce rispetto a quello del pesce cane spinoso, che è di circa 10 anni.
Gli Elasmobranchi generalmente hanno bassi tassi riproduttivi, crescita lenta e un lungo tempo di maturazione a confronto con i Teleostei. Il periodo per il 50% di maturazione (tempo di generazione) è probabilmente 7-13 anni negli squali e 5-6 anni nelle Razze. Queste specie k-selezionate sono molto suscettibili di un eccesso di pesca e infatti molti banchi di pesca non sono più sostenibili, dato il basso tasso di rimonta.

Teleostei
Riproduzione
Nei Teleostei si trova un’enorme varietà di modelli riproduttivi. La maggior parte delle specie hanno sessi maschili e femminili, anche se sono conosciute forme di ermafroditismo, bisessualità, partenogenesi, sviluppo da un uovo non fertilizzato e ginogenesi (sviluppo da un uovo stimolato alla divisione da uno spermatozoo che non contribuisce però con proprio materiale genetico).
L’inversione sessuale negli adulti non è infrequente. Il numero di uova prodotto da una particolare specie è normalmente determinato dalla quantità di cure parentali date ad esse. Una specie pelagica, come il merluzzo, produce molte milioni di uova ad ogni stagione e li libera in mare aperto. Specie, invece, che costruiscono nidi complessi e proteggono le uova e gli avannotti durante lo sviluppo, come ad esempio lo Striped bass (Morone saxatilis), normalmente producono solamente qualche decina di uova. Altri pesci arrivano a proteggere e svezzare la loro prole all’interno di loro particolari sacche. I metodi di concepimento sono variabili e tendenzialmente correlati al grado di cura che viene dato ad uova e spermatozoi: questi ultimi possono semplicemente essere rilasciati nell’acqua; altre specie ancora rilasciano uova fertili o in alternativa provvedono all’incubazione interna seguita da rilascio dei giovani vivi, come nel caso del Guppy (Poecilia reticulata).

Viviparità e ovoviviparità
Non è mai presente una placenta. La viviparità è rara e la si trova solo in poche specie di Teleostei, dove la gestazione è intra-ovarica e nella Latimeria. Le storie di vita dei Teleostei sono quindi molto diverse: la viviparità è rappresentata solo in due gruppi maggiori di Teleostei gli Ofidi e i Ciprinodontidi (Cyprinodontidae). La maggioranza dei Teleostei è dunque ovovipara ed molto più feconda degli Elasmobranchi.
Il periodo di incubazione è corto e le larve appena schiuse hanno un periodo relativamente breve con un’elevata mortalità; prima della metamorfosi esse sono perciò specie r-selezionate per riproduzione. Ci sono sempre eccezioni a queste generalizzazioni e ne è un esempio la deriva di ben 3 anni che la larva leptocefala dell’anguilla europea (Anguilla anguilla) compie attraverso l’Atlantico.
Non ci sono peculiarità che possano distinguere le uova marine da quelle di acqua dolce anche se hanno delle caratteristiche osmotiche diverse. In genere la uova di acqua dolce sono più grandi (1-2 mm di diametro) e tendono ad attaccarsi alle alghe e alle pietre; alcune sono deposte in specie di nidi oppure vengono curate in diverse maniere. Anche se poche specie, come ad esempio la Carpa erbivora, producono uova galleggianti, il tipo di uova non galleggiante è sicuramente più indicato per l’acqua dolce, al fine di prevenire un eccessivo movimento e spostamento nei fiumi e corsi d’acqua.
Le uova marine sono generalmente più piccole (circa 1 mm di diametro) quasi sempre galleggianti e sono liberate nella zona pelagica. L’Aringa e il Capelin (Mallotus villosus) sono delle eccezioni, in quanto depongono delle uova appiccicose immerse che aderiscono alle alghe ed alla ghiaia del fondo marino nelle zone interessate dalle maree. Il Mummichog (Fundulus heteroclitus), Atlantic silverside (Menidia menidia) e California grunion (Leuresthes tenuis) depongono le loro uova in vari substrati delle zone interessate alle maree e l’ovodeposizione è generalmente legata ai cicli lunari di marea.
Le uova marine si può facilmente capire che sono galleggianti, in quanto le concentrazioni di soluto all’interno del tuorlo possono essere mantenute osmoticamente al di sotto di quelle delle concentrazioni dell’ambiente dell’acqua marina e perciò meno dense.
C’è di solito un forte movimento d’acqua all’interno dell’uovo al momento dell’ovulazione. Le uova fecondate della platessa, Pleuronectes platessa, ad esempio, sono composte oltre il 90% d’acqua. La gravità specifica dell’intero uovo è perciò tenuta al di sotto di quella dell’acqua marina, anche se il materiale del tuorlo di per sé sarebbe di un peso specifico superiore. Un globulo di olio di basso peso specifico può aiutare il galleggiamento. Nell’acqua dolce le concentrazioni di soluti all’interno delle uova sono naturalmente più alte rispetto alla concentrazione nell’acqua circostante, così che le uova per galleggiare richiedono globuli di olio più grandi.
Le larve che sgusciano dalle uova dei Teleostei sono generalmente di forma varia  e spesso anche di forme diverse rispetto all’adulto, ad esempio le larve leptocefale (alcune di più di 1 metro di lunghezza) hanno forme curiose e bizzarre. Sfortunatamente non c’è sufficiente spazio per trattare tutti i tipi di habitat riproduttivi dei Teleostei; tutto quello che si può fare è sottolineare alcuni casi emblematici e raccomandare la ricerca di ulteriori informazioni sugli adattamenti riproduttivi segreti dei Teleostei.

Viviparità negli Osteitti
Specie di acqua dolce
Gli ambienti di acqua dolce includono i grandi laghi tropicali stabili e generalmente non stagionali, i grandi laghi delle regioni più temperate, dove le condizioni sono più stagionali con copertura di ghiaccio durante l’inverno, le pianure alluvionali ad elevata stagionalità di fiumi come il Rio delle Amazzoni e il Nilo, e i tanti corsi d’acqua delle regioni temperate, dove è presente una forte stagionalità di temperatura e flusso d’acqua. Adattamenti dei cicli vitali sono riscontrabili in tutte queste circostanze.
Nei grandi laghi africani, quali il lago Giorgio e il lago Vittoria, individui maturi della maggior parte dei pesci del tipo dei Ciclidi, esistono durante tutto il periodo dell’anno, anche se possono esserci dei picchi stagionali del numero di individui in riproduzione.
La fauna Ciclide dominante forma dei banchi di pesci composti da più di 300 specie nel lago Malawi, di più di 200 nel lago Vittoria e 120 nel lago Tanganika. La maggior parte di questi Ciclidi produce partite di uova piccole di cui questi pesci si prendono cura nel substrato oppure all’interno della bocca generalmente delle femmine. I pesci che si prendono cura dei nascituri nel substrato sono generalmente monogami e i genitori formano dei legami di coppia. I pesci che, invece, curano la prole nella bocca sono poligami e i genitori si separano poco dopo l’accoppiamento.
Nei fiumi delle pianure alluvionali il vero ciclo di vita di alcune comunità di pesci può essere determinato dalle piogge. Le alluvioni non solo aumentano enormemente l’habitat disponibile ma rilasciano sostanze nutritive che provocano delle fioriture di fitoplancton e un aumento degli organismi della catena alimentare microzooplanctonica.
Molti pesci di grosse dimensioni come, fra i Cipriniformi, la carpa, si riproducono subito prima o durante il periodo delle alluvioni, mentre altre varietà si riproducono in paludi alluvionali al margine della piena che avanza. Per molti pesci tropicali il periodo dell’acqua alta è anche il principale periodo nutritivo e la principale stagione di accrescimento, quando cioè accumulano riserve di grasso che gli permetteranno di superare la stagione più secca.
In alcuni generi di “Killfish” ovipari (Ciprinodontidi) ci sono specie animali con cicli di vita adattati allo sfruttamento delle pozze temporanee che appaiono ogni anno nelle regione tropicali e subtropicali dell’Africa e dell’America del Sud. All’inizio della stagione delle piogge, le uova dei Killfish immerse nel fango schiudono velocemente e i giovani crescono rapidamente, sfruttando l’abbondante ma temporanea offerta di nutrienti. Sono pronti all’accoppiamento in 6-8 settimane. Producono delle uova resistenti alla siccità, che possono passare attraverso una fase di sospensione della crescita, simile a quella che si osserva negli insetti in una fase detta diapausa, anche se ci sono delle uova cosiddette “di fuga” che evitano la diapausa. Nei Killfish vivipari (Poecilidi) la fecondazione è interna. Il maschio è più piccolo della femmina, diversamente dalle specie ovipare, e alcuni raggi delle pinne anali sono allungate a formare un organo introflettente, anche detto gonopodio.
Nella gambusia, Gambusia affinis, così chiamata per la sua grande voracità di larve e pupe di Anopheles, il maschio è di circa 3,5 cm di lunghezza e la femmina 6,5-8 cm. Gruppi di 43-205 giovani sono prodotti ogni 21-28 giorni. La gambusia si riscontra naturalmente nelle parti sud orientali degli Stati Uniti, ma è stata introdotta in molte altre parti del mondo per aiutare nel controllo della malaria. Se sono abbastanza frequenti, le ripetute generazioni dei Killfish vivipari possono renderli altrettanto fecondi quanto i parenti ovipari. In alcune specie di Poecilidi, gli spermatozoi vengono accumulati nella parete ovarica e gli embrioni si sviluppano all’interno di follicoli ovarici intatti, in un processo chiamato “superfetazione”. Per successive maturazioni e fecondazioni dei gruppi di uova possono essere portati nell’ovaio fino a 9 generazioni ognuna nel proprio stadio di sviluppo, come ad esempio nel Poeciliopsis retropina, P. elongatus, Heterandria formosa. La viviparità del Killfish nelle altre piccole specie è largamente confinata agli ambienti tropicali e subtropicali dove c’è un minor rischio di fluttuazioni marcatamente stagionali. Nell’America del Nord i Killfish prevalentemente adattatisi a condizioni più temperate appartengono al genere oviparo Fundulus. Per concludere meritano una menzione particolare i Salmonidi per i loro singolari cicli vitali.
I Salmonidi comprendono sia specie anadrome, sia specie esclusivamente d’acqua dolce, e sono caratterizzati dall’avere una grossa taglia per essere specie d’acqua dolce: gli adulti crescono generalmente fino ad almeno 1-2 kg e in alcuni salmoni fino a 25 kg e anche più. Per la loro considerevole taglia ed eccellenza delle carni sono ricercati sia ai fini nutritivi che di pesca sportiva. Il Salmone, la Trota Iridea e il Salmerino (Salvelinus sp.), in particolare, sono allevati in gabbia sia a livello marino che in acqua dolce e sono stati fatti molti tentativi di trapiantarli e stabilirli in nuovi habitat, ad esempio l’emisfero meridionale.
I Salmonidi sono ovipari e producono poche migliaia di uova piuttosto grandi del diametro di 5-7 mm. Il maschio sviluppa caratteri secondari sessuali al momento della riproduzione, particolarmente evidenti nella mandibola uncinata del Salmone reale e del Salmone dell’Atlantico. Le uova dei Salmonidi sono deposte in letti di ghiaia superficiali di corsi d’acqua molto rapidi e impiegano diverse settimane per schiudere. Gli avannotti del Salmone dell’Atlantico schiudono quando sono abbastanza sviluppati — circa 20 mm di lunghezza — con sangue pigmentato di rosso e un grande sacco del tuorlo. Passano attraverso uno stadio di sviluppo detto “parr” e migrano in mare come “smolt” a una lunghezza di 10-15 cm, generalmente dopo aver passato un periodo in acqua dolce di circa uno o due anni.

Specie marine
Le aree riproduttive delle specie marine di importanza economica sono ben conosciute, specialmente alle latitudini temperate dalle flotte pescherecce. Possono anche essere ricostruiti dei dati dalla ricerca sullo zooplancton per la distribuzione delle uova e delle larve e per identificare le aree riproduttive e per misurare i tassi di mortalità e i percorsi di dispersione. Molto meno si sa sul comportamento riproduttivo dei pesci adulti.
Un tempo si pensava che l’accoppiamento fosse piuttosto un processo casuale, in cui un gran numero di maschi e femmine si accoppiavano volteggiando assieme a mezz’acqua. Ci sono indubbiamente molte eccezioni a questo schema; oggi sappiamo ad esempio che il Melanogrammus aeglefinus passa attraverso un corteggiamento piuttosto elaborato che comprende particolari atteggiamenti visivi del maschio ed emissione di suoni. Il maschio degli Pygoplites diacanthus della barriera corallina produce un anello vorticoso di uova e spermatozoi flettendo la propria coda e, presumibilmente, così aumentando il successo riproduttivo.
Nell’aringa che si accoppia in prossimità del fondo, i maschi e le femmine interagiscono formando accoppiamenti momentanei, ma la femmina rilascia poi le proprie uova solamente su un substrato conveniente. Alcune specie, come l’ippocampo, sono monogame, rimanendo con lo stesso compagno per tutta la vita.
Circa 3/4 delle specie di Teleostei (9.000 su 12.000) producono uova galleggianti, perciò l’habitat più comune per le uova e le larve è la zona pelagica. Qui gli stadi giovanili comprendono quella parte delle zooplancton chiamata ictioplancton. Hanno poco controllo sul loro destino; a parte le larve più adulte, che possono effettuare limitate migrazioni in verticale, la dispersione è principalmente sotto controllo delle correnti. Mano a mano che crescono e attraverso successive metamorfosi diventano indipendenti, c’è una tendenza da parte dei giovani a riunirsi in zone di accrescimento in prossimità della costa, o nel caso delle sogliole a sistemarsi sul fondale marino.
Poiché la maggioranza dei pesci è poichiloterme, il tasso di sviluppo dipende dalla temperatura. Nelle regioni tropicali lo sviluppo non è solo veloce ma le generazioni sono brevi e l’accoppiamento è praticamente ininterrotto tutto l’anno. Le uova dei pesci corallini richiedono solo un giorno per schiudere e la vita larvale dura pochi giorni. Molte famiglie di pesci corallini, come ad esempio vari Serranidae, Lutjanus spp. (Lutjanidae), triglie (Mullidae) e i pesci farfalla (Chaetodontidae) depongono uova pelagiche, ma alcuni Gobidi, Blennidi e i Pomacentridi depongono uova non galleggianti che possono essere distribuite sul fondale e controllate da uno o da entrambi i genitori. La fecondità totale può variare da alcune decine di migliaia ad alcuni milioni di uova; la mortalità è elevata e solo in pochi tornano come giovani avannotti alla barriera corallina e presumibilmente ancora in meno si disperdono verso altre aree.
Una caratteristica peculiare è riscontrata nelle uova e nelle larve del pesce palla sellato (Canthigaster valentini) che sono poco gustose per i pesci predatori della barriera corallina.
Nell’oceano aperto dei tropici e subtropici i Teleostei epipelagici, ad esempio i pesci rondine (Exocoetidae), i suri (Scomberosocidae), pesce vela e Marlin (Istiophoridae), i tonni e pesci luna (Molidi), producono molte uova galleggianti, come fanno le specie delle zone mesopelagiche e batipelagiche. Le specie di entrambi questi livelli si presume che si accoppino dove vivono e le uova galleggiano verso l’alto in superficie. Gli stadi giovanili, successivamente, tendono a formare l’ictioplancton per un certo periodo prima di dirigersi nuovamente in basso verso l’habitat da adulto. Sia nell’oceano aperto che nelle acque costiere la diversità di specie cala bruscamente tra le latitudini subtropicali e le temperate.
Ad esempio, su 111 specie di pesci, 68 depongono uova galleggianti. I rimanenti producono uova di fondale (anguille, bavose, gobidi) e sono costruttori di nidi (spinarello, vari Labridi e i vivipari Sebastes) oppure hanno tasche per la prole (pesci ago). Questi adattamenti senza dubbio riducono la mortalità nelle aree costiere dove le uova potrebbero andare alla deriva o essere danneggiate dall’azione delle onde. Alle alte latitudini le acque costiere sono vicine al punto di congelamento e spesso coperte di ghiaccio. Per questo molte specie depongono grosse uova sul fondale marino. Il pesce ghiaccio, Channichthyidae, ha delle uova di 2-5 mm di diametro e una fecondità di 2.500-12.000. La crescita è lenta e la maturità non viene raggiunta per alcuni anni. I pesci in queste acque devono espletare una breve stagione di crescita passando attraverso uno stadio di larva di breve durata oppure diventare meno dipendenti dalla stagionalità producendo grandi uova vicino al fondo. Queste uova schiudono in larve che si nutrono in prossimità del fondo: esse sono provviste di riserve del tuorlo che gli permettono di crescere fino a dimensioni abbastanza grandi per nutrimento endogeno, aumentando il range di prede disponibili. I pesci polari sono tipicamente “k-selezionati” con grandi uova, bassa fecondità e maturità ritardata.

Ecologia delle larve
L’elevato valore commerciale dei pesci utilizzati per l’alimentazione, che sono prevalentemente marini, ha portato ad un grande sviluppo della ricerca negli ultimi 100 anni, finalizzata a chiarire i fattori che controllano il rilevamento degli stadi giovanili negli stock dei pesci pescati. Una comprensione piena dei meccanismi ecologici che stanno alla base del rinnovamento aiuterebbe nel controllo e gestione in modo scientifico degli stock permettendo di predire le rese delle flotte pescherecce.
La maggior parte delle specie ad elevata resa è selezionata per riproduzione (r-selected) con alta fecondità. I tassi di mortalità sia delle uova che delle larve sono nell’ordine del 5-30% della popolazione per giorno. Un tempo si pensava che questa mortalità fosse dovuta prevalentemente alla mancanza di nutrimento, essendo le larve incapaci di trovare adeguata alimentazione di microzooplancton, e in particolare con un periodo critico peculiare alla fine dello stadio del sacco vitellino. Più recentemente, si è cominciato a considerare che la predazione è di importanza uguale se non superiore come meccanismo di mortalità. Esperimenti molto curati hanno dimostrato che i tassi di mortalità delle uova sono simili a quelli delle larve (quindi bassa) e che ci sono scarse prove sull’esistenza di un periodo critico al completamento del riassorbimento del sacco vitellino. Inoltre, esperimenti realizzati, allevando larve di specie come il merluzzo in serbatoi costieri, hanno dimostrato alti tassi di sopravvivenza in assenza di predatori. La stima della mortalità naturale è difficile. Ultimamente i biologi del settore ittico hanno fatto delle ricerche sulle catene nutritive marine in cui le larve di pesce sono coinvolte misurando i tassi di predazione in condizioni sperimentali. Si pensa che la trasparenza delle uova e delle larve più giovani e il camuffamento ingannevole dei loro melanofori riduca la loro evidenza ai predatori, almeno in certe condizioni di illuminazione e di sfondo.
È importante, ai fini della sopravvivenza, che la crescita sia rapida, per ridurre lo spettro dei predatori; parlando in generale, le larve devono essere meno della metà dei loro predatori per essere vulnerabili. Man mano che le larve si accrescono diventano più evidenti ma la loro abilità di fuggire agli attacchi dei predatori è incrementata. Alcuni mutamenti di comportamento, tipo, ad esempio, il raggruppamento dei pesci in branchi e gli adattamenti al fondale marino, aiutano a ridurre la pressione predatoria. Questo non significa, però, che la presenza o assenza di nutrimento non giochino un ruolo significativo in questi alti tassi di mortalità. Le larve di specie come l’aringa e la platessa possono sopravvivere per circa una settimana senza nutrimento quando sono piccole; la platessa può resistere alla mancanza di nutrimento fino a tre settimane quando si avvicina alla metamorfosi. Le larve private del nutrimento raggiungono un punto in cui sono ancora vive, ma sono troppo deboli per mangiare, anche se il cibo diventa disponibile (è il cosiddetto punto del non ritorno-PNR o morte ecologica). Sono stati fatti molti sforzi in passato per classificare lo status nutrizionale e la condizione delle larve catturate in mare, allo scopo di valutare le probabilità di sopravvivenza.
Con questo obiettivo, fattori condizionanti come il rapporto peso/lunghezza, le dimensioni corporee, l’istologia degli organi, il contenuto di grasso e il rapporto DNA:RNA sono stati utilizzati in un grande range di specie marine (sardine, aringhe, acciughe, merluzzi e pesci piatti). Una delle più interessanti scoperte è stata che la densità del microzooplancton nel mare è raramente sufficiente per sostenere la sopravvivenza e la crescita, a meno che il cibo non sia distribuito a macchie, ad esempio in prossimità di fronti idrografici o discontinuità. Questo ha condotto al concetto degli anni di Lasker, nome che deriva dall’illustre biologo marino statunitense. È stato scoperto nelle correnti della California che un buon tasso di sopravvivenza della prole era associato a tempo mite, quando questi fronti e queste chiazze o macchie possono essere mantenute o rafforzate, dando prova circostanziale del vantaggio della presenza delle chiazze.
L’importanza di una correlazione fra le larve e il loro microzooplancton ha portato all’ipotesi del tasso di sopravvivenza larvale portato avanti da Cushing (1990). La produzione delle larve dovrebbe essere collegata alla disponibilità del loro nutrimento. Poiché le larve più giovani hanno delle bocche molto piccole, è essenziale che il loro cibo, come ad esempio le uova di Copepode e Nauplii, sia disponibile quando le larve sono molto piccole. Una riproduzione sincronizzata in lotti può aiutare nel mettere in relazione le larve al loro nutrimento, ma naturalmente il numero delle larve è in genere inferiore rispetto a quello della riproduzione classica, che si realizza una sola volta. Anche la mancanza di relazione con i predatori è a vantaggio della sopravvivenza. Le larve, infatti, devono essere considerate sia come predatori che come prede e questo porta al concetto della competizione di gruppo. Il miglior modo di sopravvivere è di crescere velocemente e per riuscirvi occorre cibarsi di grandi quantità di cibo evitando i predatori. Se la preda potenziale riesce a crescere di più rispetto al predatore potenziale ha una maggiore probabilità di sopravvivenza. I biologi danno grande importanza a questa crescita veloce per aver una buona resa riproduttiva e un più alto rilevamento degli stock di pescato.

Crescita
I biologi del settore ittico sono molto interessati alla crescita perché è una componente importante delle equazioni di pesca che vengono utilizzate per calcolare le rese a differenti livelli di rilevamento. Non è solo il numero dei pesci che è importante (risultante dal rinnovamento e dalla sopravvivenza di anno in anno), ma anche l’aggiunta della biomassa allo stock dei pesci, dovuto alla crescita di ciascun pesce. La crescita è incrementata da una buona offerta di nutrimento e da un’alta temperatura. Alle latitudini più alte è stagionale e allevare pesci durante la stagione invernale può rallentare la crescita o arrestarla del tutto. La crescita può dipendere da una competizione intra o interspecifica e può così essere indipendente dalla densità. Un considerevole passo in avanti è stato effettuato nella messa a punto nel 1940 di una equazioni sul pescato, applicando l’equazione di crescita di Von Bertalanffy alla crescita di Teleostei importanti da un punto di vista commerciale, come parte dello studio sulle dinamiche delle popolazioni di pesce.
Un elemento chiaro richiesto nella stima della crescita è la possibilità di calcolare l’età di ciascun pesce. Alla latitudini più alte con la stagionalità gli arresti di crescita durante il periodo invernale sono riflessi nei modelli di crescita di un certo numero di tessuti, specialmente le scaglie e gli otoliti, dando luogo alla presenza di anelli equivalenti all’età in anni. Nelle larve è possibile rimuovere gli otoliti e, dopo un trattamento adeguato, osservare gli anelli di crescita giornalieri. Questi ritrovamenti abbastanza recenti hanno permesso la misura della crescita larvale e dei tassi di mortalità, consentendo una maggiore conoscenza delle pressioni ecologiche sulle popolazioni larvali. Alle basse latitudini la mancanza di stagionalità rende queste tecniche meno applicabili o addirittura senza alcuna possibilità di utilizzo.

Alfredo Mengoli
Veterinario ufficiale presso ASL di Bologna
Docente di legislazione dei prodotti ittici presso Scuole specializzazione
Facoltà Veterinaria Università degli studi di Udine e Milano
Specialista in Sanità e qualità dei prodotti ittici e specializzato in allevamento, igiene, patologie e controllo degli animali
acquatici e prodotti derivati

Si ringrazia il dott. Giorgio Orlandi (veterinario ufficiale ASL Modena) per la collaborazione fornita alla realizzazione del lavoro.

Bibliografia

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