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Il viaggio lento

giovedì, 01 settembre 2005
 

La storia di Facciapesce

 

 

- Ha sempre fatto il custode, lei?
- Sempre fatto il custode? No, ci mancherebbe altro.


Erano di nuovo nel retrobottega di Etem.
Si stavano asciugando per bene e sembravano tutti sereni, ridacchiavano, fischiavano.
- E che altri lavori ha fatto?
- Quante domande fai, ragazza?
- Sta scrivendo una tesi -
Fece Samuel.
- È una scrittrice? -
Domandò il custode.
- Non ancora, ma chissà. Forse se le diamo una mano. Riponda alle sue domande, siamo anche noi curiosi di sapere la sua storia.
- D’accordo. Da dove comincio?
- Dal suo nome - Disse Samuel.
- Gli amici mi chiamano Facciapesce, per anni ho lavorato in barca.

I DEMONI, L’ACQUA, I PONTI
"Come quel mio illustre cugino di Messina, come si chiamava? Non mi ricordo.
Toni il pesce? Pescetoni? Quello che andava su è giù per lo stretto. Scilla-Cariddi, Cariddi-Scilla. Pesciantonio? No. Non ricordo.
A voi non capita di non essere sicuri di ricordare? Di non ricordare se ricordereste? Voglio dire, ti fanno sentire un profumo e tu dici subito: mi ricorda... non mi ricordo più. E non ti ricordi davvero più. Per sempre?
Ve lo posso trovare il nome se volete, da qualche parte. Se ne parla in tutto il Mediterraneo dell’uomo pesce che attraversava lo stretto, che viveva nell’acqua.
Qualcuno dice che fu per curarsi un gran mal di testa. Non dormiva più e la notte andava sulla spiaggia e guardava il mare nero.
Concentrandosi è possibile allontanare il dolore, si diceva. Spingerlo lontano nel buio informe tra le acque e le stelle, scacciarlo nella profondità marine, nello spazio interstellare. Qualcuno in campagna lo chiude in fondo a un pozzo, il dolore, qualcun altro nel doppiofondo di una barca.
Sapete quanti fiumi ci sono al mondo? Un giorno ho provato a contarli, ma ne venivano fuori sempre di nuovi, fiumi del Paraguay dai nomi impossibili, in lingua guaraní: Piribebuy, Jejuí, Tebimary, o più spagnoleggianti, come il Río Confuso.
E i fiumi marocchini, Bou Regreg, Oum-er-Rbia, e via dicendo.
Quindi ho rinunciato, anche se di tempo ne avevo in abbondanza e avrei davvero potuto imparare a memoria i nomi di tutti i fiumi.
Il mio fiume si chiamava Serafin, perché in generale era un fiume tranquillo, con pochi tranelli. Io guidavo Leti, la mia barca, uno zatterone che attraversava il fiume dieci, a volte venti volte al giorno. Non c’erano ponti in quella zona e la mia zattera trasportava merci e persone da una sponda all’altra del Serafin.
Un’antica leggenda locale dice che i ponti li fanno gli spiriti di notte, basta lasciar loro il materiale necessario sulla riva: legno, funi; però sono ponti magici, si vedono e non si vedono, e bisogna essere davvero fiduciosi per attraversarli.
Nella regione del Serafin, da anni non c’erano più persone fiduciose, anzi   qualcuno sostiene che non ci siano mai state, che siano anche loro una leggenda buona solo a riempir di grilli la testa dei giovani.
Insomma, niente ponte - o quasi - e molto lavoro per Leti e per me. Tutto il giorno su e giù, fino al tramonto.
E che bello era il tramonto sul fiume, a volte arancione, altre rosa. Bello come una dichiarazione d’amore, come un abbraccio che dura un istante e poi rimane lì, fisso in un tempo trascorso, come una fotografia, sospeso sull’acqua."

 

Postato da: LinoGraz a 14:17
 

 

giovedì, 08 settembre 2005


Anfibia


Retrobottega di Etem.
Etem, Teresa, Samuel, Facciapesce.
Silenzio.
Poi Facciapesce:
- Posso fare una telefonata?
- Certo, il telefono è dietro il banco.

Ci andò e telefonò.
Poi ritornò e disse:
- Pescecola, o Colapesce, a seconda.
- Di cosa sta parlando?
- Del mio antenato, quello di Messina.
- Ah. Per questo ha telefonato?
- Sì.

Teresa disse:
- Adesso, però, devo andare, sono stanca.

Facciapesce disse:
- Anch’io devo andare, al giardino mi staranno aspettando.
 
Salutarono, ringraziarono, uscirono.
Pioveva ancora, una pioggerellina leggera, la città era fradicia: roba da rane e rospi.
"Salamandre, tritoni: acqua nei polmoni, Salamandre, tritoni: acqua nei polmoni..." canticchiava Facciapesce divertito.

L’aria sapeva di muffa. Città di pozzanghere, Sartamea, poco preparata alle intemperie. Quando piove, meglio evitare la metropoliana. Sempre ferma. Perdite d’acqua da tutte le parti: un colabrodo sotterraneo. Segatura sulle banchine.
Teresa e Facciapesce superarono quindi l’entrata della metro e arrivarono a un bivio.
Teresa disse:
- Arrivederci e grazie, passerò a trovarla al giardino botanico.

Facciapesce disse:
- L’aspetto, arrivederci.

"Salamandre, tritoni: acqua nei polmoni, >Salamandre, tritoni: acqua nei polmoni..."
canticchiava Facciapesce divertito.

Era quasi l’ora di pranzo e Teresa era indecisa tra la fame e il sonno. Le notti precedenti a San Gorduto non aveva dormito molto, quasi niente per la precisione. E quel ragazzo con cui era stata? Carino. Come si chiamava già?
Improvvisamente prese a piovere più forte, la pioggia assordante cancellava tutti i suoni. Teresa ebbe un capogiro: un gracidare di rane nella testa, sempre più forte, sempre più forte, sempre più forte.

"Salamandre, tritoni: acqua nei polmoni, Salamandre, tritoni: acqua nei polmoni..." canticchiava Facciapesce divertito.

Postato da: LinoGraz a 07:51

 

 

   

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